Castelli e torri “alla moderna” a Messina
Da sempre la Sicilia, per la sua posizione strategica nel Mediterraneo, è stata centro di interessi militari. L’entroterra è oggi disseminato di castelli attorno a cui sono sorti, come in un abbraccio, splendidi borghi medievali. La costa, invece, è piena di torri, per lo più di avvistamento.
Bizantini, arabi, normanni, svevi, aragonesi e spagnoli hanno lasciato ognuno il loro segno differente.
Mura e torrette bizantine ci sono sul monte Palostrago a Rometta Superiore. Una torre araba è ancora oggi leggibile nel complesso di palazzo Corvaja a Taormina. Possenti masti normanni li troviamo a Motta Sant’Anastasia, Paternò, Adrano, ma anche a Milazzo. Torri ottagonali sveve ci sono a Enna (di Federico) e a Trapani (Colombaia). Per tutto il ‘300, invece, le lotte tra aragonesi e famiglie baronali locali hanno portato alla realizzazione e alla ristrutturazione di castelli aggrappati sulla roccia, come quelli di Caccamo e Mussomeli, ma soprattutto di palazzi-torre ermetici al piano terra e ampiamente sfinestrati appena sopra la cornice marcapiano; il più bello per me è quello dei Duchi di Santo Stefano a Taormina.
Ma spesso ci troviamo davanti a torri e castelli aggiustati e rimaneggiati dal governante di turno e per leggere queste stratificazioni occorre un occhio attento e conoscitore della storia dell’architettura siciliana.
Dal ‘400 cambia un po’ il mondo dell’architettura militare. Con l’evoluzione dell’artiglieria, bisognava adeguare le strutture difensive e ricostruirle “alla moderna”. Si sostituiscono le torri alte di pianta rotonda con quelle basse di pianta quadrata. Si aumenta lo spessore dei muri. Si cominciano ad adottare ovunque le scarpe cordonate.
Gli aragonesi, però, danno anche un aspetto “residenziale” ai loro castelli, aggiungendo elementi architettonici aggraziati come portali, scale e finestre gotico catalane. Si vedano Montalbano e Santa Lucia del Mela con le loro facciate completamente sfinestrate del piano superiore.
Dal ‘500 si cominciano ad usare i bastioni ad angolo acuto, si costruiscono cittadelle a pianta centrale e si diffonde la trattatistica.
Una nuova architettura “alla moderna”, in cui brillano italiani e fiamminghi, ma che in Sicilia è ricca di elementi stilistici provenienti adesso dalla Spagna unificata (gotico isabellino, plateresco, herreriano) e non più dalla Catalogna.
Coi viceré in Sicilia si attua una vera e propria revisione del sistema di fortificazioni costiere. Si deve capire quante torri ci sono, quali vanno demolite, quali restaurate e quali costruire ex novo. Vengono incaricati prima Tiburzio Spannocchi e poi, tra il 1583 e 1584, il fiorentino Camillo Camilliani.
Spannocchi individua “ventitré torri da costruire, sessantadue torri esistenti ed in parte da Rimediarsi”, Camilliani disegna un vero e proprio modello che verrà utilizzato per centinaia di torri in tutta la Sicilia, con “caditoia” sulla porta d’ingresso lato monte e garitte negli angoli. Entrambi abilissimi disegnatori, con pochi tratti colorati e legende ben messe, rendono chiarissimo lo stato di fatto e di progetto.
Queste torri, di notte con fuochi e di giorno con fumi, comunicavano il pericolo alle torri di mezza costa che, a loro volta, lo rilanciavano alle fortezze in altura.
Ma che tracce abbiamo nella provincia di Messina di torri ed edifici militari “alla moderna”?
Certamente la Torre (poi lanterna) del Montorsoli, certamente la nota cittadella messinese disegnata da Carlos De Grunembergh e certamente il Castello Gonzaga. Ma è da annoverare anche il castello Samonà di Spadafora, probabilmente realizzato nel XV secolo su una antica torre di avvistamento e poi rimodulato e restaurato per renderlo conforme al palazzo-torre descritto da Vincenzo Scamozzi nel trattato “L’Idea della Architettura Universale”.
Ma possiamo anche “immaginare” come poteva essere: la Torre Rasocolmo, il palazzo-castello dei Principi di Resuttano a Condrò, quello Vianisi a Tremestieri (Messina) e, perché no, lo sconosciuto torrione di Contesse.
Questo rudere completamente sgarrupato che si trova tra lo stadio San Filippo e l’autodromo dei go-kart, fu realizzato a guardia degli antichissimi borghi di Contesse e Pistunina. La sua pianta sembra costituita dall’intersezione di un cerchio con due quadrati ruotati. E’ certamente una modifica realizzata tra ‘500 e ‘600 da qualche ingegnere “alla moderna” operante a Messina a quel tempo. Forse Ferramolino? La torre preesistente era più alta e quindi più vulnerabile, secondo le nuove concezioni del tempo. L’ingresso, come sempre, lato monte. Fra i vari fabbricati addossati dalla famiglia De Pasquale, secondo Franco Chillemi, anche qui c’erano i resti di aggraziati portali quattrocenteschi gotico-catalani.