Michele Palamara

architetto e giornalista

Archives 2019

La cultura architettonica greca e spagnola in Sicilia

La Sicilia, grazie alla sua posizione geografica, sempre al centro di interessi militari e commerciali, è stata nell’arco dei secoli, campo di sperimentazione artistica di popoli di cultura diversa, e quindi importante veicolo culturale internazionale. La cultura greca e quella spagnola sono quelle che hanno influito per più secoli in maniera diretta sull’architettura isolana.

Dal VI al XIII sec., dopo la lunga pausa romana, in Sicilia si torna a “parlare greco”. Nel 535, infatti, durante la guerra gotica, l’isola viene occupata da Belisario ed annessa all’Impero bizantino. Agli anacoreti già presenti sull’isola, si aggiungeranno quindi altri religiosi grechi che edificheranno templi adatti al proprio rito.

Sotto il successivo dominio arabo, ai basiliani, monaci per lo più di rito greco, sarà concesso di rifugiarsi sulle alture. A seguire, i re normanni decideranno, invece, di finanziare i monaci devoti a S. Basilio, per far controllare loro il territorio, imponendo tutt’al più modifiche “basilicali” alle piante delle chiese.

Certamente greca, infatti, è la pianta centrale, più adatta al rito ortodosso: circolare, quadrata, ottagonale o a croce con bracci uguali. Molto utilizzata è la cupola emisferica, che esternamente appare ribassata grazie all’innalzamento dei muri del tamburo su cui poggia. Spesso è presente l’oculo centrale, come nell’architettura romana da cui deriva (Pantheon).
Ma è greca anche la monoaula absidata, che simboleggia la nave come mezzo di salvezza (arca di Noè).

Di tutti questi generi fanno parte probabilmente: la non più esistente chiesa di S. Maria di Portella a Castanea (Messina), la chiesa vecchia di Acqualadroni (Messina), la chiesetta sul monte Paleo Kastron a Rometta, la chiesa della Madonna del Loreto a Pezzolo (Messina), San Pietro di Deca a Torrenova, la “Rosata” di Rodì Milici, Santa Maria del Bosco ad Alì, la chiesa di S. Biagio a Castelmola, la chiesa di S. Marco a S. Pier Niceto, la chiesa della Badia a Piraino, la Madonna del Tonnaro e la chiesa di S. Rosalia a Castanea (Messina), S. Placido in Silvis a Giampilieri (Messina), l’Annunziata a Castelmola, S. Michele Arcangelo a Forza D’Agrò e ad Allume (Roccalumera), la chiesa di S. Nicola a Mili S. Pietro (Messina).

Al gruppo della cosiddetta architettura arabo-normanna, di cui fanno parte le più conosciute chiese palermitane e le “tre gemelle” della Val Demone, S. Pietro e Paolo a Itala e Casalvecchio e S. Maria a Mili S. Pietro (Messina), si potrebbe aggiungere anche la chiesa di S. Francesco a Taormina, per un periodo cattedrale della città. Gli elementi di questa architettura sono, molto sinteticamente, l’aspetto turrito, il campanile e l’arco pacatamente ogivale normanno, gli archi intrecciati, le colonne tortili e la cupola rialzata araba e, per l’area della Val Demone, l’effetto pittorico esterno dettato da materiali semplici come la lava, la pietra calcarea e i mattoni. Ma notevole è l’apporto greco, non solo nell’utilizzo dei mosaici interni nelle chiese palermitane, ma soprattutto nell’orientamento ad est e nell’aspetto centrico di alcune piante.

Dopo la pausa gotico sveva, dove notevole è la produzione militare e palaziale, piuttosto che ecclesiastica, nel 300, famiglie baronali locali, come i Chiaramonte, si oppongono militarmente e stilisticamente agli aragonesi/catalani.  E’ per questo che solo dal 400 in poi saranno, prima i catalani, poi gli spagnoli, a dettare i connotati dell’architettura siciliana; fino agli inizi del ‘700 allo stile rinascimentale e barocco italiano, si continuerà a preferire spesso il gusto spagnolo.

Usato già in epoca medievale (sala del camino nel castello di Milazzo), l’arco a diaframma (di rinforzo trasversale all’asse principale dell’edificio) è molto usato nell’architettura civile e militare trecentesca. Esempi significativi li ritroviamo nel castello di Mussomeli e nell’arco “riposizionato” di Castroreale. Ma gli elementi dell’architettura trecentesca “chiaramontana” sono soprattutto quelli considerati ormai indigeni, come gli archi pacatamente acuti normanni, le decorazioni a zig zag arabe su portali e balaustre, nonché le bifore e trifore di impronta sveva.

In questo periodo di guerre intestine, si costruiscono essenzialmente castelli e palazzi fortificati. Per questi ultimi l’aspetto è turrito, con piccole porte al piano terra, una cornice marcapiano e grandi finestre su di essa direttamente poggianti (Palazzo Mergulese a Siracusa, Palazzo Steri a Palermo, Palazzo dei Duchi di S. Stefano a Taormina).

Palazzo dei Duchi di Santo Stefano a Taormina

Nel ‘400 Siracusa, che era fra i più grandi porti siciliani, vedeva fiorire e intensificare la propria vita commerciale. La popolazione cresceva e la città non era pronta, col suo vecchio impianto urbanistico medievale, ad accogliere tutti. Fu così che, per incentivare e controllare le nuove costruzioni, la città ottenne l’approvazione dalla regina Maria d’Aragona per un progetto di legge che concedeva il diritto di esproprio per costruire un palazzo, o semplicemente per “extendere, ampliare et pulchrifacere” uno già costruito.

I governatori aragonesi e i ricchi banchieri e mercanti catalani, avevano piacere di rivivere nelle proprie case siciliane l’ambiente familiare. Grazie a questa nuova legge le nobiltà del levante spagnolo, ma anche la popolazione indigena, poteva acquistare e restaurare più lotti in maniera tale da formare patii, spesso irregolari, e poterli dotare di scale scoperte come era in uso a quel tempo in Catalogna, Valencia e Baleari. E’ per questo che in città come Siracusa, Taormina, Messina, Palermo, Enna, Trapani, è oggi possibile trovare case con patio e scala scoperta, costituite da elementi provenienti dal gotico civile catalano; più orizzontale che verticale, con le sue finestre architravate o ad arco ribassato, con portali ad ampia raggiera di conci, bifore e trifore con esile colonnina e abaco espanso, parapetti con cornici a zigzag, trafori fiammeggianti ovunque, stemmi romboidali, capitelli pensili (“arranques”).

Tra i tantissimi edifici di questo tipo: Palazzo Bellomo e Palazzo Gargallo a Siracusa, Palazzo Corvaja e Ciampoli a Taormina, Palazzo Abatellis a Palermo, Palazzo Pollicarini a Enna, ma anche in case meno “nobili” e conosciute come quella appartenente alla famiglia Reattino a Castanea (Messina),

La maestria araba, ormai sicilianizzata, la pietra locale calcarea di Siracusa o lavica dell’Etna, danno spesso vita a elaborazioni del tutto nuove, quindi isolane. Ma ci sono anche elaborazioni napoletane, come l’arco durazzesco-catalano, che, introdottesi nell’isola soprattutto attraverso Messina, porta della Sicilia, assumono un aspetto tipicamente nostrano. Molte di queste elaborazioni siculo-campane-catalane avranno luogo soprattutto a Taormina e in particolare sul Corso Umberto, ma anche a Forza D’Agrò.

Fra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500 in Spagna si attua l’unificazione e questo comporta un cambiamento anche in Sicilia, sia politicamente che stilisticamente. Tranne qualche raro esempio, da questa data, in Sicilia è giusto parlare di architettura spagnola e non più di “gotico catalano”. Lo dimostrano la bifora del Tesoro del Duomo di Messina, la finestra di Savoca, il portale di S. Placido Calonerò a Pezzolo (Messina) e il portale di Palazzo Corvaja a Taormina, tutti gotico – isabellini o dei Re cattolici, un tardo gotico spagnolo con influenze fiamminghe e arabe proveniente dal centro della Spagna. Questo stile si trasformerà in “plateresco” dall’unione, sempre in Spagna, con gli elementi rinascimentali italiani; un esempio magistrale è il Palazzo della Giudecca a Trapani.

Anche l’architettura “herreriana” assolutamente spagnola è presente spesso in Sicilia. Essa prende il nome da Juan de Herrera, autore del Monastero dell’Escorial e si sviluppa sotto il regno di Filippo II (1556-1598); ma continua anche nel ‘600. E’ uno stile tardo rinascimentale, molto sobrio e composto, che si caratterizza per il suo rigore geometrico e i suoi volumi puliti; unico vezzo gli acroteri terminali a forma di “bolas” (palle); tutte caratteristiche presenti sia nella torre palazzo di Sant’Angelo di Brolo che nella Loggia della Sagrestia di Randazzo.

Saranno due le tendenze stilistiche che perdureranno per tutto il ‘500 e la prima metà del ‘600. Da una parte lapicidi e intagliatori continuano a lavorare alla maniera spagnola, in molti casi con decorazioni isabelline e plateresche, dall’altra è la rinascenza italiana e poi il barocco che, molto timidamente, si introdurrà nell’isola, soprattutto in città come Messina (porta della Sicilia) e Palermo (Capitale).

E’ decisamente borrominiana, quindi romana, la facciata concavo – convessa usata da GuarinoGuarini nella non più esistente chiesa dell’Annunziata dei Teatini a Messina, e poi sfruttata nel levante della Sicilia, ma è decisamente innovativa la struttura piramidale e slanciatissima della facciata messinese dell’architetto modenese, in antitesi con la compostezza delle chiese romane e più in linea col gusto spagnolo.

Alla colta interpretazione degli architetti di scuola italiana, si opporrà soprattutto nella Sicilia orientale l’ordine gigante del barocco proveniente dalla Spagna, lo sviluppo in altezza delle facciate delle chiese serrate fra alti campanili a bulbo, i portali “retablò”, utilizzati anche in America Latina, o l’effetto pittorico delle facciate dei palazzi dovuto al contrasto tra il colore degli elementi architettonici e quello della facciata. In molti casi è giusto appellare questo tardo barocco: “churrigueresco”, piuttosto che “rococò”.

Sulla fine del 600 e gli inizi del 700, infatti, fra gli architetti di matrice italiana operanti in Spagna, emerge lo spagnolo Jose Benito Churriguera con la sua prima opera “El Catafalco para las exequias mortuorias de M. Luisa de Borbon“. Quest’opera dà vita in Spagna ad un nuovo stile, coevo del “Rococò” francese, il cosiddetto “Churrigueresco“, diffusosi, ovviamente, anche in Sicilia.

Michele Palamara

 

 

 

Concorso per la Riqualificazione e valorizzazione urbana di un’area a Vallonara – Marostica (Vi)

Aprile 2019 – Comune di Marostica (Vi) – CONCORSO PER LA “RIQUALIFICAZIONE E VALORIZZAZIONE URBANA DI UN’AREA A VALLONARA” –  arch. Michele Palamara – IMPORTO LAVORI 1.549.000 €

La proposta progettuale nasce da un’analisi delle architetture limitrofe e dell’alto valore naturalistico del luogo da cui si dipartono i sentieri che portano all’Altipiano dei Sette Comuni.

Gli elementi compositivi sono semplici e nascono dall’esigenza di un elemento distributore che possa collegare tutti gli ambienti.

Contemporaneamente si è pensato agli elementi dettati dal bando e agli aspetti di eco-sostenibilità da assegnare al progetto.

L’edificio si caratterizza per l’alta flessibilità. Esso è articolato su due isole funzionali, una per livello, assolutamente indipendenti.

Il primo livello ha un interpiano di 4,00 m. Nei pressi dell’ingresso c’è un ritaglio di prato inglese. Il blocco scala/ascensore in acciaio inox e policarbonato traslucido conduce al piano superiore. Un ampio corridoio mette in comunicazione i vari ambienti.

Al piano terra sono disposti i seguenti ambienti polifunzionali: 1) cucina (di quartiere e per la caffetteria); 2) biblioteca – sala internet – sala lettura – sala studio; 3) servizi al cittadino – segreteria – reception; 4) sala prove – sala feste bambini – audizione musica; 5) sala gioco carte – sala lettura – sala ricamo/cucito.

Nel piano superiore (interpiano 3,5 m.) sono disposti i seguenti ambienti: 1) sala mostre – sala lettura; 2) ludoteca – sala lettura bambini; 3) uffici da dare in gestione ad associazioni; 4) sala convegni – teatro; 5) sala proiezioni.

Essi sono suddivisi in modo da sfruttarne al massimo l’utilizzo, facendo si che di mattina e di sera vengano usati quasi esclusivamente gli ambienti al piano terra e di pomeriggio l’intera struttura, permettendo, in tal modo, un notevole risparmio energetico.

La struttura dell’edificio è in acciaio, con tamponature, tramezzi e solai prefabbricati.

Le tamponature e i solai di copertura hanno un alto grado di coibenza termica.

Il corridoio centrale è chiuso in un involucro di pannelli alveolari (spessore 4 cm) in policarbonato co-estruso, protetto dai raggi UV., e ha copertura opaca prefabbricata.

Le pareti, a seconda della loro esposizione, possono essere composte da 5 a 9 fogli, con trasmissione luminosa e trasmittanza termica differente.  

I due corpi laterali sono chiusi sui lati da vetro stratificato protetto da un sistema di brise-soleil in acciaio pre-verniciato.

Il brise-soleil, d’inverno, permette l’ingresso della luce naturale e il riscaldamento dell’ambiente; d’estate, le doghe, rifrangendo la luce esterna, hanno la funzione di raffrescamento degli ambienti interni e, proseguendo sul solaio di copertura, proiettano un’ombra costante sull’estradosso, attenuandone il surriscaldamento.

Gli infissi apribili  in alto, fra i locali e il corridoio centrale,  favoriscono l’estrazione dell’aria (effetto camino), e la ventilazione incrociata. Griglie d’aerazione nel solaio di interpiano del corridoio ne completano l’efficienza.

Le aperture appena sotto la copertura del corridoio, d’inverno, favoriscono l’illuminazione naturale e il riscaldamento naturale dell’intero edificio. D’estate, favoriscono il sistema di entrata dell’aria attraverso torri del vento e l’estrazione dell’aria mediante effetto camino.

Il sistema di raffrescamento/riscaldamento è a soffitto.

Un impianto di domotica permette la chiusura di ambienti, come quelli posti al piano superiore, non usati di mattina, e usati pochissimo di sera.

La copertura dell’elemento distributore centrale può essere integrata con un sistema di pannelli solari utili al sostentamento energetico.

L’intero importo dei lavori, IVA inclusa, è pari a € 1.549.000.

A dispetto, quindi di un basso costo di realizzazione e di esercizio, dovuto sia alla razionalizzazione dell’utilizzo che alla cura dell’efficienza energetica, la struttura avrebbe un grande beneficio sociale perché sarebbe occasione di socialità per giovani, anziani, casalinghe, bambini e nuove imprese; nonché economico perché il comune guadagnerebbe dall’affitto dei vari ambienti a seconda dell’utilizzo.

Riqualificazione e riutilizzo dell’area Ex Seaflight a Messina

Capo Peloro è la punta estrema nord orientale della Sicilia.

È un’area di grandissimo valore paesaggistico costituita da emergenze storico-militari come il “fortino degli inglesi” e tre importanti esempi di “archeologia industriale” come il “pilone”, l’ex Seaflight (dove si costruivano aliscafi) e le Torri Morandi, nelle quali approdavano i cavi elettrici del “pilone” e sulla cui area c’è oggi un parcheggio a raso.

Capo Peloro e l’intero borgo di Torre Faro, soprattutto d’estate, è frequentatissimo da mezzi di tutti i tipi, creando fortissimi disagi per la circolazione e per la popolazione. Tutta l’area necessita una regolamentazione del traffico, oltre che un’importante riqualificazione, soprattutto dell’ex fabbrica Seaflight e del Pilone.

Col presente progetto si propone: un unico accesso carrabile per tutti fino al parcheggio Morandi (ampliabile); una circolazione solo pedonale sino all’area culturale-paesaggistica Pilone, ex SeaFlight, Torre degli inglesi; una circolazione solo pedonale per via Fortino. Per il resto del borgo si propone una zona 20/30 solo per residenti. 

Con riferimento all’area ex Seaflight si propone la realizzazione di un Urban Center (con tutte le sue funzioni culturali) e tre percorsi “allestibili” che, similmente a quelli già esistenti in zona e rievocando le passerelle utilizzate per l’ammaraggio degli aliscafi, salendo e scendendo lievemente, finiscono in spiaggia.

Le tre aree (“pilone”, ex Seaflight e “fortino degli inglesi”) devono avere vocazione culturale.

Concorso per la Riqualificazione dell’ex mattatoio a Castiglion Fiorentino (concorso di idee aprile 2019)

Aprile 2019 – Comune di Castiglion Fiorentino (Ar) – CONCORSO PER LA “RIQUALIFICAZIONE DELL’EX MATTATOIO” –  arch. Michele Palamara – IMPORTO LAVORI 600.000 €

La nuova configurazione di Piazza Garibaldi, con un grande parcheggio e terminal di autolinee, rende l’area oggetto di intervento un vero e proprio ingresso alla città medievale.

L’importo messo a disposizione per l’intervento di riqualificazione (600.000 €),  le buone condizioni delle strutture murarie, ma soprattutto la loro valenza storica, fanno propendere per un intervento di “ripulitura” e di rifacimento impiantistico in ragione dell’utilizzo proposto.

Punto di partenza del progetto è l’utilizzazione del corpo di fabbrica al piano terra, che ben si presta anche nella sua disposizione interna, quale “filtro” per la città, con l’obiettivo di indirizzare i turisti, che giungono con i mezzi pubblici e con le loro auto, all’interno del centro storico.

Questo utilizzo è anche occasione per promuovere negli ampi spazi disponibili le tipicità di Castiglion Fiorentino e per collocarvi, utilizzando anche il piano superiore, un “Centro per la cultura, per il co-working e per lo sviluppo del marketing territoriale” destinato alle giovani imprese, alla lettura, all’artigianato e ai talenti locali.

Da un’attenta analisi storica e da una lettura planimetrica è emerso che la terza cinta muraria all’esterno del primo nucleo fortificato del Cassero, risalente a un periodo compreso fra il 1257 e il 1267, era, e lo è ancora in parte, caratterizzata da numerose torri, tra cui quella ben visibile detta “torre mozza” e quella, meno visibile, di “San Francesco”, entrambe all’interno dell’area oggetto di intervento.

Il progetto ha, quindi, anche l’obiettivo di far riemergere la nascosta “torre San Francesco” alla pari della già notevole “torre mozza”.

Al piano terra sono previsti: ampi spazi per il co-working commerciale, ossia la condivisione di negozi per favorire l’imprenditoria giovanile; un grande unico ambiente da destinare alle mostre per il marketing territoriale, nel quale è possibile installare stand prefabbricati; una grande sala espositiva per accompagnare i turisti all’interno del centro storico; un locale per la gestione della domotica e delle stanze, anche queste in co-working, da utilizzare in orari serali come sale prova per emergenti gruppi musicali.

Al piano superiore si prevede la realizzazione di un locale, gestibile da privati, dove poter leggere e, al tempo stesso, mangiare e bere. Pertanto, con piccolissime modifiche della tramezzatura interna e con l’aggiunta di qualche wc, saranno realizzati sale pranzo/lettura, cucina e biblio-bar. Sarà un vero e proprio centro culturale, utilizzabile anche d’estate grazie alla preesistente veranda centrale, dove gli autori dei libri verranno invitati per raccogliere le impressioni dei lettori e discuterne insieme; un modo per rendere protagonista il lettore nell’era dei “social”.

Le due torri, infine, saranno trasformate in musei dedicati specificatamente alle strutture militari di Castiglion Fiorentino e dintorni, differenziandosi dalle sale medievali oggi esistenti nel Museo Archeologico.

L’accesso carrabile sopraelevato attuale verrà destinato ai pedoni che, dal terminal di Piazza Garibaldi, potranno accedere in sicurezza in città, e uscirne. Tale ingresso sarà fruibile saltuariamente solo dai mezzi di carico e scarico e dai mezzi di soccorso. Lo stretto marciapiede che lo costeggia su via Trento perderebbe così la sua utilità. In futuro, con maggiori disponibilità finanziarie, si potrà quest’ultimo allargare, spostando tutta la careggiata un metro verso est.

Le barriere architettoniche si abbattono facilmente con un ascensore per accedere al piano superiore, posizionato di fronte al centrale dei 3 ingressi su via Trento, e con due montascale per accedere al “museo delle fortificazioni” nelle due torri. Di fronte al suddetto ingresso centrale, in futuro, sarà possibile aprire un varco verso il giardino confinante col Convento di San Francesco, dato che lo spessore del muro in quel breve tratto, fa intendere che non si tratti di muratura medievale.

La struttura in muratura portante dell’edificio consente già un ottimo grado di isolamento termico. All’interno delle due torri verranno realizzati due solai con struttura in acciaio e pavimentazione, in cotto da una parte e parquet dall’altra. Entrambi i solai avranno al centro un lucernaio per consentire una maggiore illuminazione del piano terra. La “torre di San Francesco”, nella parte sovrastante i grossi muri perimetrali esistenti, avrà involucro e copertura in pannelli alveolari (spessore 4 cm) in policarbonato co-estruso, protetto dai raggi UV. La parete a sud e la copertura sarà composta da 9 fogli, trasmissione luminosa 47,5% e trasmittanza termica U = 1,0 W/(m2 K). Quelle ad est e ad ovest da 5 fogli, trasmissione luminosa 54,4% e U = 1,2 w/(m2 k). La parete a nord da tre fogli, trasmissione luminosa 76%. e U = 1,84 W/(m2 K); il tutto coperto da un sistema di brise-soleil in acciaio pre-verniciato, di sezione 10 cm x 5 cm. Il brise-soleil, d’inverno, permette l’ingresso della luce naturale e il riscaldamento dell’ambiente. D’estate, le doghe, rifrangendo la luce esterna, hanno la funzione di raffrescamento degli ambienti interni.

Gli infissi apribili nel tetto delle grandi sale espositive favoriscono: l’illuminazione naturale e il suo riscaldamento naturale; l’estrazione dell’aria, mediante l’effetto camino; la ventilazione incrociata. Griglie d’aerazione manovrabili elettricamente nel solaio di interpiano e appena sotto la copertura delle torri ri-progettate ne completeranno l’efficientamento. Un impianto di domotica gestirà le automazioni, permettendo anche la chiusura di ambienti inutilizzati durante la giornata (come le sale prova al piano terra). Sul tetto è realizzabile, anche in futuro, un sistema di pannelli solari che contribuiscano a migliorare ulteriormente il sostentamento energetico dell’edificio.

L’illuminazione sarà studiata per valorizzare gli spazi e gli elementi architettonici medievali. Gli apparecchi illuminanti all’esterno verranno predisposti in modo da non disperdere la luce verso l’alto.

Al fine di implementare la tecnologia wireless verranno utilizzati piccoli arredi urbani come panchine con ricarica smartphone, qr-code informativi collegati ad applicativi smartphone e computer. Per i meno avvezzi alla tecnologia, invece, dei più semplici totem informativi interattivi con touch screen.

La stima dei costi di realizzazione del progetto, come richiesto dal Bando, ammonta a 600.000 €, compresi gli oneri della sicurezza.

Le opere edili consisteranno in: demolizioni (vecchi rivestimenti, vecchi impianti, strutture metalliche non più utilizzabili e vecchi intonaci per portare a nudo la muratura) con relativo trasporto alla discarica per un importo pari a 20.000 €; strutture in acciaio per solai e scale delle due torri (compresi involucri esterni in cotto, parquet e vetro) per un importo pari a 33.000 €; rifacimento totale bagni e realizzazione nuovi (nuove porte comprese) per un importo pari a 40.000 €; tracce e carotaggi per nuovi impianti per un importo pari a 15.000 €; isolamenti termici e acustici, impermeabilizzazioni per un importo pari a  20.000 €; brise soleil torre di San Francesco per un importo pari a 35.000 €; tramezzature e controsoffitti (nuove porte comprese) per un importo pari a 50.000 €; pitturazione infissi per un importo pari a 10.000 €; impianti (idrico sanitario, elettrico per un importo pari a 90.000 €; impianti speciali (condizionamento, domotica, wi-fi, dati, antintrusione, video sorveglianza, ascensore) per un importo pari a 110.000 €; preparazione delle superfici murarie e tinteggiatura per un importo pari a 60.000 €; vetro strutturale torri per un importo pari a 50.000 €; imprevisti per un importo pari a 5.000 €; portoni esterni per un importo pari a 20.000 €; panchine smart, cestini per raccolta differenziata, totem informativi con touch screen per un importo pari a 7.000 €; box commerciali espositivi prefabbricati per un importo pari a 20.000 €. A questi importi si aggiungeranno gli oneri per la sicurezza non soggetti a ribasso pari a 15.000 €.

 

Protocollo d’intesa Ordine degli Architetti di Messina e Corpo Polizia Municipale di Messina

Mercoledì 28 marzo alle 9,30, nella sede dell’Ordine degli Architetti di Messina, è stata inaugurata, in occasione dell’anniversario di fondazione dei Vigili Urbani, la mostra dal titolo: “170 anni al servizio di Messina”, a cura dell’Ufficio Storico della Sezione Ricerche e Studi del Corpo di Polizia Municiaple diretto dal Commissario Michele Bonanno. E’ dal 1848, infatti, anno della ribellione contro il potere della dinastia borbonica, che i Vigili Urbani operano a tutela della legalità in città; esattamente dal 28 marzo, giorno in cui apparve un avviso al popolo col quale si reclutavano militi nel corpo della Guardia Municipale. In occasione dell’inaugurazione della mostra il Presidente dell’Ordine degli Architetti Pino Falzea e il Comandante del Corpo di Polizia Municipale Calogero Ferlisi, hanno rinnovato il protocollo d’intesa per la “Tutela e salvaguardia del patrimonio culturale cittadino”. L’iniziativa, avviata lo scorso anno a gennaio, è nata da una convergenza di obiettivi fra i due enti, il Corpo di Polizia Municipale che svolge fra le scuole progetti di educazione stradale ed alla legalità, l’Ordine degli Architetti che, dal canto suo, svolge attività in favore della conoscenza, salvaguardia e promozione dei maggiori monumenti cittadini. Tra gli obiettivi principali del protocollo: far conoscere il patrimonio culturale; sensibilizzare i ragazzi ai problemi della tutela delle architetture e dell’ambiente urbano; educarli alla comprensione delle opere d’arte ed al rispetto delle norme che ne favoriscano la tutela e la corretta fruizione; accrescere in loro il senso d’appartenenza al proprio territorio ed alla propria identità culturale. Con la stipula del protocollo, il Com. Calogero Ferlisi e l’Arch. Pino Falzea, con le istituzioni da loro rappresentate, intendono proseguire nelle iniziative di sensibilizzazione volte al rispetto della “cosa” pubblica. Ha moderato l’evento il Vice Presidente arch. Michele Palamara, delegato dell’Ordine, insieme all’arch. Silvana Lo Piano, per il coordinamento delle attività. Presente anche il Vice Sindaco e assessore alla Polizia Municipale di Messina Gaetano Cacciola che ha vistato il Protocollo d’intesa.