Dicembre 2014 – Comune di Desenzano del Garda – RIQUALIFICAZIONE URBANA DI UNA PORZIONE DEL CENTRO STORICO – Gruppo: arch. Alessandra Malfitano (CAPOGRUPPO); arch. Michele Palamara; arch. Cristina Mannello; arch. Giusy Milone; arch. Giuseppe Cannetti – IMPORTO LAVORI CIRCA 10.000.000 €
Da sempre la Sicilia, grazie alla sua posizione geografica, al centro di interessi militari e commerciali, è stata nell’arco dei secoli luogo dove diverse culture, dalle greche alle arabe, dalle francesi alle spagnole, si sono unite dando vita a grandissime espressioni in campo artistico, spesso anche a sperimentazioni del tutto innovative per il tempo.
Così è avvenuto anche nel campo del teatro e dello spettacolo, con le tradizionali vastasate, di origini medievali, e con l’opera dei pupi, sostituiti più tardi da attori in carne e ossa, che con le loro compagnie spopolavano per tutti i teatri d’Italia.
Come tipologia architettonica il teatro in Sicilia fu importato dai greci: la “cavea” semicircolare ospitava gli spettatori; la pendenza seguiva l’andamento naturale del terreno su cui veniva realizzato. Nel teatro romano, invece, la pendenza veniva realizzata artificialmente con spesse mura perimetrali (Taormina e Catania).
L’anfiteatro, spesso confuso col teatro, è invece una struttura ellittica chiusa, costruita per ospitare altri tipi di eventi. La Sicilia è piena di teatri greci, greco-romani, romani e anfiteatri (Siracusa).
Ma dopo l’età classica niente più si sperimentò in architettura per questo utilizzo. La pausa medievale fu lunga, anche se a Palermo, ai tempi di Federico II, esisteva una grande corte all’interno del Palazzo Reale, perimetrata da loggiati, denominata Aula Regia o Sala Verde che svolgeva funzione di teatro; essa era, anche, denominata “Theatrum imperialis palacii”.
E’ col Rinascimento che si comincia a pensare a teatri stabili coperti. Il più antico è il Teatro Olimpico a Vicenza, di Andrea Palladio (580). Ma il primo in assoluto fu probabilmente il Teatro in Campidoglio a Roma (1513)
Da lì in poi è un susseguirsi di sperimentazioni che, influenzate dai “corral” spagnoli e dai “teatri elisabettiani”, porteranno a definire il cosiddetto “teatro all’italiana”.
In questo lungo lasso di tempo, nel 1551, a Messina, venivano svolte rappresentazioni teatrali, nella casa di Paolo La Rocca; Giuseppe La Farina ne descrive gli ambienti. A Catania esistevano dall’inizio del 600, tre teatri di cui non si conosce la struttura: teatro della Casa Comunale, Teatro dell’Università, Teatro dei Gesuiti. Ma esistevano anche tanti “teatri di sala” realizzati in palazzi nobiliari e castelli-palazzo (dal 1664 il Palazzo dei Principi di Valdina a Palermo, dal 1668 il Palazzo Rodinò e l’Accademia degli Agghiacciati a Palermo, dal 1700 il Castello di Ciminna, dal 1709 la Villa Valguarnera a Bagheria, dal 1724 il Teatro “La Munizione” inserito nel magazzino della munizione a Messina, dal 1726 i Magazzini di Palazzo Valguarnera a Palermo, dal 1740 il Palazzo Senatorio a Siracusa).
Mentre dapprima il teatro era finanziato e frequentato esclusivamente dai nobili, ad esclusione delle vastasate e dell’opera dei pupi, che si realizzavano anche in piazza, dall’inizio dell’800 nelle grandi città di mare l’interesse per il teatro si diffonde fra la società borghese.
Tipologicamente il teatro siciliano assume, quindi, le caratteristiche del “teatro all’italiana” e da architettura di un interno diventa un vero e proprio monumento definibile nel tessuto urbano.
Il “teatro all’italiana” si costruisce, quindi, per lo specifico utilizzo di teatro, come avveniva in età classica e in età rinascimentale. Spesso si trova nei punti nevralgici della città. Nella piazza principale accanto al municipio, a volte incorporato nello stesso, come nel Teatro Garibaldi di Enna, oppure accanto alla Chiesa, come il Teatro Comunale di Vittoria o come il Bellini a Palermo, contiguo alla Martorana.
Luogo di culto, ma anche di semplice incontro, il teatro diventa un obiettivo prioritario per quasi tutte le amministrazioni. Nel 1868 si contano in Sicilia più di 80 teatri.
Nella prima metà del 800 la realizzazione dei teatri in Sicilia, quasi sempre in forme neoclassiche, perchè ben rappresentano l’edificio pubblico, è spinta da un sentimento liberale.
Messina, grazie al suo porto, ha vissuto secoli di altissimo splendore economico, urbanistico ed architettonico, godendo di grandi privilegi da parte dei dominatori. Ai primi dell’800 si è appena realizzata la nuova Palazzata ad opera del Minutoli sullo stesso luogo di quella seicentesca del Gullì. La città comincia a rivivere, e la sua esigenza di competere con gli altri grandi porti europei si manifesta nel voler costruire un nuovo teatro. Progettista è l’arch. Valente, napoletano, il quale, sia pur sacrificando l’ampiezza della sala, dota il teatro di una varietà di ambienti come, il caffè, il biliardo, sale per giochi e per feste, a dimostrazione di come il teatro ottocentesco siciliano volesse essere non solo un luogo di cultura ma anche un ambiente di rappresentanza, un po’ alla maniera francese.
Malgrado il sacrificio della sala, il teatro messinese a quel tempo era il quinto in Italia per capienza. Nella sua sobria composizione architettonica rispondeva perfettamente al tipo canonico italiano.
Sulla fine dell’800 si ha una nuova specializzazione nel teatro delle grandi città siciliane. Ecco perché a Palermo sorgono il Teatro Massimo Vittorio Emanuele, teatro esclusivamente lirico, e il Politeama Garibaldi, teatro polivalente (dal greco polus=molto e theaomai=vedere).
Col Teatro Massimo, prima Giovan Battista Basile e poi il figlio Ernesto raggiungono il massimo della monumentalità, rompendo il rapporto con la scala urbana, quasi a simboleggiare in maniera esasperata la sacralità dell’evento lirico. Internamente prestano grandissima attenzione all’ottimizzazione dell’ottica e dell’acustica costruendo un ampissimo palcoscenico, al tempo il secondo in Europa.
Denunciando all’esterno con chiarezza la distribuzione degli spazi interni e con l’alto tamburo esplicitando l’edificio teatrale, i Basile approdano a una soluzione simbolica e funzionalista al tempo stesso.
Col Teatro Politeama Garibaldi, Giuseppe Damiani de Almeyda fornisce Palermo di un altro importante fulcro urbano. Il grande semi-cilindro composto da un doppio ordine di colonne pompeiane nasconde al suo interno una sala a ferro di cavallo. Ma oltre a due ordini di palchi l’architetto fa costruire una cavea di tipo palladiano, un primo passo verso il nuovo teatro contemporaneo.
Sia Ernesto Basile che Giuseppe Damiani de Almeyda vengono definiti da Enrico Calandra, nella sua “Breve storia dell’architettura in Sicilia”, i maggiori architetti italiani dell’800. Lo stesso Semper, presidente del concorso per il teatro Massimo e autore del Teatro dell’Opera di Bayreuth, ebbe a complimentarsi per il rifiorire dell’architettura siciliana.
All’inizio del 900 i teatri in Sicilia diventano 150. Oggi saranno una cinquantina quelli inutilizzati.
I sette borghi fantasma dell’ERAS, nel territorio di Francavilla, sono anche detti Villaggi Schisina (dal nome del più grande di questi). Furono realizzati nel 1950 dall’Ente per la Riforma Agraria in Sicilia con lo scopo di adibirli ad abitazioni per i contadini assegnatari delle terre circostanti. I loro nomi: Schisina, Borgo San Giovanni, Bucceri-Monastero, Pietra Pizzuta, Malfìtana, Piano Torre, Morfia.
Sicaminò è un borgo con azienda agricola, abbandonato dopo la riforma agraria degli anni 50. Era di proprietà della famiglia Avarna, di origine normanna. L’ultimo discendente, il Duca Giuseppe Avarna, poeta e scrittore, morì nel 1999 in un tragico incendio. Separato dalla moglie, che viveva nel castello, e risposato con una giovane hostess; si narra che suonasse le campane della chiesetta adiacente, ogni volta che faceva l’amore. In una famosa intervista a Enzo Biagi però, il Duca smenti questa “favola”. La chiesetta, in stile neogotico, sorge, probabilmente, sui ruderi di una chiesa bizantina donata dal Conte Ruggero I ai basiliani. Ancora visibile dalle finestre il locale ‘anni 70’ di proprietà dei familiari del Duca con gli arredi dell’epoca.
Nell’arco dei secoli la Sicilia, grazie alla sua posizione geografica, è stata campo di sperimentazioni stilistiche, durante le quali spesso ha avuto, ma a volte ha anche dato.
Sperimentazioni importanti le compì a Messina il padre teatino Guarino Guarini, modenese di scuola romana, quando nel 1662 portò a termine la facciata della Chiesa dell’Annunziata dei Teatini, poi distrutta dal terremoto del 1908.
Facciata dell’Annunziata dei Teatini
Già dalla fine del 400, dopo un lungo innamoramento verso le forme del levante spagnolo, la Sicilia aveva riaperto i rapporti artistico-culturali con l’Italia. E Messina ancor prima, tanto che Baboccio da Piperno, all’inizio del XV secolo, scolpiva in un tardo gotico italiano, non catalano, il portale della cattedrale (straordinaria è la somiglianza con quello della Cattedrale di Napoli).
Portale del Duomo di Messina
Portale della Cattedrale di Napoli
Dal 1463 è presente nell’isola Domenico Gagini. Con lui una serie di marmorari lombardi e toscani aprono le loro botteghe a Palermo e nello stesso periodo è presente anche Francesco Laurana. A Messina, invece, nel 500 operano i toscani Calamech e Montorsoli, tanto per citarne alcuni.
Saranno quindi due le tendenze stilistiche che perdureranno per tutto il 500 e la prima metà del 600. Da una parte lapicidi e intagliatori continuano a lavorare alla maniera spagnola, in molti casi con decorazioni isabelline o plateresche, dall’altra è la rinascenza italiana e poi il barocco che, dapprima timidamente, poi in maniera più decisa detteranno i connotati dell’architettura siciliana.
Sarà quindi la tipologia architettonica della Controriforma, che si realizzava a Roma in quegli anni, che richiamerà l’attenzione degli architetti barocchi operanti in Sicilia. Gli stessi Vermexio, di origine spagnola, opereranno a Siracusa seguendo i trattati vignoleschi. Mentre più tardi ancora, durante la ricostruzione della Sicilia orientale, sarà ancora il gusto scenografico dettato dalla magnificenza spagnola a ispirare scultori e architetti siciliani, a volte con soluzioni “churrigueresche”, piuttosto che “rococò”.
Architetti siciliani si recano a Roma per apprendere la maniera barocca continentale e utilizzarla al loro rientro, consapevoli di intervenire in un clima diverso; architetti continentali scendono in Sicilia a portare le loro conoscenze e a sperimentare nuove forme, questo è appunto il caso di Guarino Guarini.
E’ decisamente borrominiana, quindi romana, la facciata concavo-convessa usata dal Guarini nella chiesa dell’Annunziata dei Teatini e poi sfruttata a Noto, in San Domenico, e un po’ ovunque nella Sicilia orientale.
E’ decisamente innovativa la struttura piramidale e slanciatissima della facciata messinese, in antitesi con la compostezza delle chiese romane e più confacente con lo slanciato barocco spagnolo. Ma è ancora più innovativa la posizione della facciata rispetto all’asse principale della chiesa.
A Guarini venne dato, infatti, incarico di realizzare la facciata di un corpo preesistente e, per un problema di allineamento con la strada, decise di realizzarla in diagonale rispetto all’asse principale della chiesa, dovendosi così confrontare con problemi geometrici non indifferenti come nel portale di ingresso.
Alla stessa maniera, 18 anni dopo, il grande genio matematico, filosofo e architetto spagnolo Juan Caramuel Lobkowitz, per nascondere l’asimmetria che esisteva fra la cattedrale di Vigevano e la piazza, realizzò una facciata scenografica ortogonale all’asse principale della piazza e allo stesso tempo obliqua rispetto all’asse della chiesa.
Cattedrale di Vigevano
Ancora più tardi, Conrad Rudolf, detto “el romano”, risolverà il problema del congiungimento della cattedrale di Valencia, in Spagna, con la torre preesistente del Miguelete.
Cattedrale di Valencia
Lo stesso Conrad Rudolf, nella memoria del progetto afferma di aver visto in Italia un’opera con disposizioni simili. Non poteva che riferirsi a Guarini o a Caramuel.
Facciata borrominiana/guariniana della Cattedrale di Valencia
L’opera del Guarini a Messina fu certamente d’esempio per tutte le architetture borrominiane presenti in Sicilia, nonchè influì sullo spirito del giovane architetto messinese Filippo Juvarra, operante più tardi anche a Madrid.
Ma è quanto mai plausibile supporre che la sua opera messinese non sfuggì alla curiosità di Caramuel, il quale nel 1678 pubblicava un trattato sull’architettura retta e obliqua, 10 anni dopo quello del Guarini sull’architettura civile, anche se pubblicato postumo soltanto nel 1737.
Caramuel fu grande amico di un altro sacerdote e astronomo: il ragusano Giovanni Battista Hodierna, con il quale condivideva gli stessi interessi. E’ possibile che Caramuel, titolare della sede episcopale di Otranto in Puglia, prima di essere vescovo di Vigevano, abbia visitato la Sicilia?
Guarini ha forse ispirato l’opera architettonica lombarda del grande genio polivalente spagnolo Caramuel, ma, comunque, ha certamente avuto un ruolo nel dibattito sull’architettura obliqua. Del suo “competitor” spagnolo diceva: “un certo che ha scritto nella favella Spagnuola di architettura“.
D’altra parte Juan Caramuel e Guarino Guarini, insieme al pittore e monaco spagnolo Juan Ricci, sono considerati i trattatisti più importanti del XVII secolo dell’ordine “salomonico“. Le loro opere furono capitali nello sviluppo di quello che conosciamo come “ordine salomonico” (colonne tortili) senza il quale sarebbe impossibile spiegare l’architettura barocca sia in Sicilia che in Spagna.
E’ tuttavia doverosa una riflessione. E’ possibile che la problematica della facciata della cattedrale di Valencia sia stata risolta sull’esempio di quella dell’Annunziata dei Teatini; ma è anche vero che nella città spagnola, già dalla seconda metà del XV secolo, e anche all’interno della stessa cattedrale, operavano Francesc Baldomar e il suo allievo Pere Compte, i quali si sbizzarrivano nella realizzazione di bucature oblique negli spessi muri medievali e volte a crociera coprenti spazi trapezoidali.
Storici contemporanei dell’architettura spagnola hanno notato in alcune di queste opere valenziane del tardo 400 la presenza dello stemma reale di Sicilia. Dando uno sguardo al passato, nella nostra isola non è difficile imbattersi in impianti militari ed ecclesiastici normanni, come il castello di Castellammare del Golfo e il duomo di Cefalù, più tardi anche chiaramontani, come il Castello di Mussomeli, con distorsioni planimetriche risolte con bucature, archi ed altri elementi obliqui, precisamente come accadde dopo in Spagna.
Concorso di idee. Capogruppo arch. Michele Palamara, arch. Marco Sturniolo, arch. Gabriele Saccà
Il progetto, dopo un’attenta analisi dei valori storici del centro lacunare e degli strumenti urbanistici vigenti, ha l’obiettivo specifico di :
valorizzare il rapporto terra/acqua dei lungolaghi;
valorizzare e mettere in sicurezza il collegamento pedonale dal centro lacunare alle spiagge a nord-est;
incrementare le aree di aggregazione sociale;
incrementare i circuiti ciclistici già presenti attorno a Peschiera favorendo il rapporto naturalistico col Mincio;
collegare il lungolago Mazzini alle spiagge poste ad ovest;
collegare il lungolago Garibaldi alle spiagge poste ad est;
estendere la rete di percorsi ciclabili e ciclopedonali che innervano la città;
incentivare l’uso della bicicletta attraverso idonee azioni di safety e security;
eliminare le barriere architettoniche;
utilizzare arredi urbani coordinati, basati sull’utilizzo della pietra ricostruita, come le panchine sul lungolago Garibaldi, e l’acciaio verniciato corten, caratterizzati dallo stemma del Comune di Peschiera del Garda;
promuovere l’utilizzo della bicicletta come mezzo complementare all’auto privata.
Le strategie adottate per cogliere gli obiettivi specifici sono sintetizzate nei punti seguenti:
risolvere definitivamente il problema delle radici degli alberi sui lungolaghi con delle apposite sedi (isole vegetative) dove le radici possono espandersi e vivere.;
integrare maggiormente i percorsi ciclopedonali con gli ormeggi;
completare la rete ciclopedonale esistente con un breve circuito cittadino;
cominciare a realizzare una rete di bike parking in modo da garantire adeguate condizioni di security alla custodia del mezzo;
realizzare un servizio di bike sharing che, in sinergia con la rete di bike parking, permetta di configurare la bicicletta a pedalata assistita come mezzo per muoversi.
Sulla scorta anche dell’individuazione dei ”punti neri” dell’incidentalità stradale sono, inoltre, consigliabili e realizzabili in un prossimo futuro, le seguenti tipologie di intervento finalizzate ad adeguate condizioni di sicurezza di pedoni e ciclisti:
introduzione di semafori a chiamata in corrispondenza degli attraversamenti ciclopedonali da realizzare su sezioni correnti della viabilità di scorrimento;
introduzione di fasi semaforiche, a chiamata o predefinite;
realizzazione di attraversamenti ciclopedonali protetti in corrispondenza delle rotatorie esistenti;
progressiva introduzione di illuminazione notturna dell’area di attraversamento cittadino (eventualmente attivata da dispositivi che rilevano la presenza del pedone o del ciclista in contesti non edificati) che potranno essere alimentati mediante recupero di energia;
realizzazione di una ciclofficina, per le operazioni di manutenzione e riparazione delle bici, in località Porto Vecchio, nei pressi del parcheggio, all’inizio della ciclabile Peschiera – Mantova.
Per creare, quindi, un circuito breve attorno al centro lacunare, denominato “sorgente del Mincio” da percorrere anche più volte, il progetto prevede la realizzazione di una passerella ciclopedonale che scavalchi il Mincio all’altezza dell’inizio della pista ciclabile della Federazione Nazionale Pesca Sportiva.
Tale incremento delle piste ciclabili è stato pensato in risposta al D.M. 208 del 28/07/2016. “Programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro”, promosso dal Ministero dell’Ambiente, che ha come obiettivo principale l’effettiva riduzione delle emissioni inquinanti e l’abbandono graduale del ricorso eccessivo all’automobile, secondo quanto richiesto dalla direttiva UE e riportato nei dettami del “Programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile”.
Il progetto prevede, inoltre, la realizzazione di 3 rastrelliere a 12 stalli, di cui per bici a pedalata assistita, per il bike sharing, funzionanti con componentistica industriale Siemens Simatic serie S7, collegate tra loro tramite fibre ottiche, e 2 bike parking, una al Molo Cappuccini e l’altra sul lungomincio Bonomi all’altezza del pilone della ferrovia, entrambe con ricarica elettrica, composte da 30 posti bici in media (per un numero tot. di 60 stalli). All’interno di ogni singolo bike parking di distribuzione delle bici verrà installato un pannello informativo, dotato di sistema di videosorveglianza e di hotspot WiFi pubblico (in rete con il sistema del comune) che mostrerà la mappa delle stazioni bike sharing, le regole di utilizzo del sistema, le informazioni utili e i numeri di telefono di riferimento. Ad integrazione del sistema di base verrà messa a disposizione degli utenti l’App Bicincittà’, che mostra in tempo reale la disponibilità delle biciclette e degli stalli vuoti. Altre semplici rastrelliere di 16 stalli ognuna saranno cosparse lungo i percorsi ciclopedonali.
Saranno, inoltre, installate panchine smart con wifi libera e ricarica smartphone, totem informativi con lettore qr-code per conoscere le tipologie dei percorsi e la loro durata, sia lungo il percorso, che in corrispondenza delle rastrelliere, nonché cestini per la raccolta differenziata.
Relativamente alle aree specificate nell’oggetto del concorso:
1 Lungolago Mazzini
Il progetto prevede, la sistemazione delle radici degli alberi con un sistema di isole vegetative che consenta alle radici di espandersi e vivere, l’allargamento del molo, utilizzando il livello dell’attuale marciapiede, dalla rotatoria Maestri al molo dei Cappuccini, con piattaforme in legno marino su pali in cemento armato.
Sulle piattaforme saranno montate “isole” rettangolari in legno marino, alcune contenenti 30 centimetri di terra e uno strato di 5 cm di prato a rotoli composto da Lolium Perenne + Poa Pratensis e attorniate da comode sedute in marmo, altre tutte in legno marino.
In corrispondenza delle strisce pedonali verranno realizzati degli scivoli per superare le barriere architettoniche.
Il nuovo fronte-lago si concluderà con la sistemazione del molo Cappuccini; verrà mantenuta la funzione attuale di spazio aggregativo, soprattutto per bambini, con delle aree a verde, verrà posizionato un “bike parking” prefabbricato, con struttura portante in acciaio, elementi di tamponatura in vetro e decorativi in acciaio verniciato tinta corten, e verrà favorito il collegamento con la passeggiata Clelia Guazzi Leoncini, tangente al lido Cappuccini.
Le gradinate che affondano nel lago saranno realizzate con una miscela di calcestruzzo e polveri di marmo.
La nuova illuminazione sarà a paletti bassi.
2 Lungolago Garibaldi
L’attuale lungolago, a causa della presenza delle aiuole, non si addice alla comoda fruibilità ciclopedonale. Il progetto consiste semplicemente nella sistemazione delle radici, nella messa in sicurezza degli ormeggi e nell’eliminazione dell’aiuole, riportando tutto il camminamento all’unico livello dell’attuale marciapiede.
In corrispondenza delle strisce pedonali verranno realizzate degli scivoli per superare le barriere architettoniche.
Verrà mantenuta la fermata degli autobus, migliorandone la fruibilità con una pensilina.
Per favorire il collegamento alle spiagge a nord est, il percorso proseguirà oltrepassando la scivola dei Vigili del Fuoco, la quale verrà quindi spostata verso il lago.
Verranno mantenuti i lampioni attuali, in ottimo stato, e verranno aggiunti paletti in acciaio corten molto bassi lungo il ciglio del molo.
2 Lungomincio Bonomi
Il progetto prevede la realizzazione di un percorso ciclopedonale che congiunge il centro lacustre, dal ponte della Marina sino alla partenza della pista ciclabile del Mincio, data in concessione alla Federazione Nazionale Pesca Sportiva di Verona. In particolare: sul primo tratto fino alla “barcaccia di Simbula” non verrà fatto alcun intervento; dalla “barcaccia” in poi verrà riqualificato, ma mantenuto, lo stesso manto stradale, allargando la pista, ove necessario, verso il lago; dal ponte della ferrovia in poi il percorso sarà in terra battuta su ghiaia, allargando verso il lago, con piattaforme in legno marino su pali in CA, in corrispondenza dei ponti della strada regionale e dell’autostrada; con fitte palificate in qualche altro punto.
In prossimità della pista ciclabile della Federazione Nazionale Pesca Sportiva, al fine di chiudere l’anello denominato “sorgente del Mincio” attorno al centro lacustre di Peschiera e anche per non interrompere il percorso durante le gare di pesca, verrà realizzato un ponte in acciaio, molto leggero a tre campate, che congiunge con l’altra sponda.
Sarà, inoltre, realizzata, a protezione dei fumi e dei rumori della strada, una rete alta 1.70 m. su cui possano crescere rampicanti come l’edera, e verranno piantati degli alberi.
Il percorso sarà costellato di totem informativi e leggii per installazioni artistiche in acciaio verniciato tinta corten, panchine in pietra ricostruita; i pilastri dell’autostrada, della strada regionale e delle ferrovia, attraversati dal percorso, saranno oggetto di interventi di “street art”.
In prossimità del ponte della ferrovia sarà posizionato un “bike parking” prefabbricato, con struttura portante in acciaio, elementi di tamponatura in vetro e decorativi in acciaio verniciato tinta corten.
Verranno sepolte le scalette in prossimità del ponte della ferrovia, per permettere la realizzazione della pista ciclopedonale e verrà realizzata una nuova illuminazione a paletti bassi.
Le prime manifestazioni pre-gotiche in Sicilia si ebbero durante il periodo di governo normanno. Il duomo di Cefalù si slancia in altezza chiuso fra due campanili come una vera e propria cattedrale gotica; la volta a crociera costolonata del santuario (1132) si poggia su grandi archi diagonali ogivali, ed è tra le più antiche del genere.
Gotici europei sono anche i castelli e i palazzi costruiti da Federico II di Svevia, e gotico è lo stile “chiaramontano” del 300. Uno stile, quest’ultimo, assolutamente siciliano, usato soprattutto nell’architettura civile e militare da quelle famiglie baronali locali che si opponevano alla cultura aragonese-catalana.
Il palazzo-torre svettante in altezza, massicciamente definito nelle sue quattro facce, era serrato al piano terra e finestrato negli ordini superiori.
Nell’alto pian terreno si apriva solo il portale, avvolto da ghiera non aggettante, a volte addolcita dal variare della pietra lavica e della pietra bianca di Siracusa, a volte decorato a zig-zag.
Nel piano nobile, con minore preoccupazione difensiva, si svolgeva lo schieramento delle bifore o delle trifore, direttamente poggianti su cornicione marcapiano, sorrette da robuste colonnine e racchiuse da ghiere, o alla normanna o alla sveva.
A Taormina, il Palazzo dei Duchi di S. Stefano presenta tutti gli elementi sopra descritti ed è tra i più significativi esempi di quest’architettura.
Nel 400, invece, il gotico è “tardo” o “fiammeggiante” e, stavolta, proviene dal levante spagnolo. Al contrario del resto di Europa non svetta in altezza, tutt’altro.
Taormina mostra una serie innumerevole di portali e finestre chiaramente ispirati alla Catalogna. Il tutto è scandito da una chiarezza nelle modanature che prelude al rinascimento.
Lo stile ha più inserti siciliani rispetto alle coeve costruzioni palermitane o siracusane. L’arco è fondamentalmente “durazzesco”, cioè ribassato ed inquadrato in una cornice rettilinea partente da metà del piedritto, e trova riscontro nella Messina pre-terremoto (Casa Anselmi).
Tutte le aperture, finestre o porte, sono incorniciate dalla pietra lavica, così come le fasce dei davanzali, quasi ad evidenziare il limite fra l’intaglio fine in pietra bianca di questi elementi e l’opera incerta del resto della facciata. Lungo l’intradosso scorre una sottile cornice, interrotta solo all’altezza dell’imposta dell’arco da un nodo floreale.
A Taormina, i palazzi di questo tipo meglio conservati sono: palazzo La Floresta, palazzo Ciampoli e palazzo Corvaja.
Il primo presenta un grazioso patio con scala scoperta sorretta da archetti a fiamma; oggi B&B.
Il secondo, recentemente restaurato, si alza maestoso dalla cima di una scalinata che dà sul Corso Umberto. Su una cornice marcapiano si aprono le bifore poggianti sulle esili colonnine. Il portale, con una semplice curva, sotto la nitida cornice aggettante, reca in sommità lo stemma romboidale alla maniera aragonese.
Il terzo è l’esempio più completo. La sua realizzazione risale ai primi del XV secolo, anni in cui veniva costruita rapidamente la sala che ospitò l’importante parlamento siciliano del 1411, e che si univa alla torretta araba preesistente ed al trecentesco salone del Maestro Giustiziere, dando vita ad un patio dalle forme irregolari come avveniva nel levante spagnolo, ma anche a Siracusa, Trapani, Palermo, Enna e Messina.
Quasi tutte le case del borgo quattrocentesco (Corso Umberto) di Taormina dovevano presentare caratteristiche simili. E’ in questa epoca che avviene il collegamento tra il vecchio quartiere arabo Cuseni (Porta Catania) e quello che invece era l’Agorà ( ἀγορά) e poi Forum della città in epoca classica (Porta Messina). Attraverso un ampio ingresso ci si immetteva in un patio irregolare su cui affacciavano magazzini o botteghe. La scala scoperta portava al piano nobile e una scala interna conduceva alle abitazioni della servitù.
In Palazzo Corvaja, la scala a una sola rampa conduce ad un arco a fiamma come nella Lonja di Valencia.
La trifora e le quattro bifore sono senza dubbio gli elementi che più manifestano il gusto fiammeggiante nel palazzo. La trifora, ricostruita in epoca recente, poggia su esili colonnine con abaco espanso, tipicamente catalano, ed è composta da archetti ogivali racchiusi da una ghiera a doppia inflessione contornata a sua volta da pietra lavica sul modello delle quattro bifore originali.
Il portale è “durazzesco”, cinquecentesco, incorniciato da una ghiera trattata con sentimento naturalistico, e presenta il motivo dei cordoni francescani come nella Casa del Cordon a Burgos. Lo stile si avvicina al “gotico-isabellino” o “dei re cattolici”, e non è più del levante spagnolo bensì del centro della Spagna.
L’aspetto attuale del palazzo lo dobbiamo ad Armando Dillon. E’ lui l’autore dell’ultimo significativo restauro.
Un restauro, da alcuni discusso, ma che ha seguito una linea progettuale ben precisa, cioè quella di riportare il palazzo alla tipologia architettonica di casa con patio e scala scoperta, alla maniera catalana.
Michele Palamara
Palazzo dei Duchi di Santo Stefano a Taormina
Portale “catalano-durazzesco” di Palazzo Penne a Napoli
Portale di Palazzo Corvaja a Taormina
Escaleras descubiertas in Spagna e in Sicilia
Portale della chiesa di S. Pablo a Valladolid
Uno dei tanti portali catalano-durazzeschi sul Corso Umberto
Il baglio fortificato di Sant’Angelo di Brolo in c/da Piano Croce, è composto da un palazzo torre, un palazzo residenziale e una chiesa con campaniletto a vela; il tutto recintato e raccolto attorno a un cortile centrale.
Oltre che in Sicilia, attorno al 500, di questi complessi architettonici ne nacquero tantissimi anche in Spagna.
Il palazzo torre di Sant’Angelo di Brolo sorse forse sui ruderi di una cuba bizantina, e si presenta con tutte le caratteristiche del tardo rinascimento spagnolo, più precisamente “herreriano”.
L’architettura “herreriana” prende il nome da Juan de Herrera, autore del Monastero dell’Escorial. Si sviluppa sotto il regno di Filippo II (1556-1598), ma continua anche nel ‘600, sia in Spagna che, di conseguenza, in Sicilia.
E’ uno stile tardo rinascimentale, molto sobrio, che si caratterizza per il suo rigore geometrico e i suoi volumi puliti; unico vezzo gli acroteri terminali a forma di “bolas” (palle); tutte caratteristiche presenti nella torre palazzo di Sant’Angelo di Brolo.
In sommità c’è anche la merlatura e un “matacan” (gettapietre, quindi “mazzacani”, quindi “ammazza nemici”) per ogni lato.
Si veda il raffronto tra il complesso siciliano e “las casas fuertes” (palazzi fortificati) di Santander e Hoznayo, entrambi in Cantabria.
Nei secoli le città hanno sempre cambiato il loro aspetto a seconda dei mutamenti politici, religiosi, sociali, tecnologici e sanitari. Possiamo solo immaginare come saranno le città del post quarantena. Io così vedo piazza Duomo a Messina, da sempre invasa da turisti che giornalmente assistono allo spettacolo del Campanile, con le nuove “distanze sociali” da rispettare.