Michele Palamara

architetto e giornalista

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RETE DEI BORGHI Progetto per la messa in rete dei borghi di Messina con conseguente loro riqualificazione e promozione turistica

Obiettivo del progetto “RETE DEI BORGHI” è il recupero e la promozione turistica del vasto patrimonio di villaggi messinesi.
Recupero da attuare, per cominciare, con piccoli interventi-pilota di riqualificazione urbana come, ad esempio, l’inserimento di una o più panchine “smart” dotate di lettore qr-code e info-point per fornire semplici e immediate informazioni turistiche, nonchè ricarica smartphone e wifi libera, insieme al rifacimento di porzioni di pavimentazione.
Promozione turistica che avviene attraverso sito web, brochure informative presso il terminal crocieristico o software installati sullo smartphone.
I turisti, ancor prima di intraprendere il viaggio, sapranno l’esatta ubicazione dei villaggi, i tempi e le modalità di percorrenza e le emergenze architettonico-paesaggistiche.
Sia che decidano di fare un tour “fai da te” che di farlo con autobus messi a disposizione dal Comune, i turisti potranno prendere in affitto occhialini per tour virtuali che sfruttano a pieno le potenzialità della realtà aumentata e delle tecnologie indossabili.
Il progetto si completa con la costituzione di piccole strutture ricettive, composte da 2 o 3 camere per borgo, collegate in rete.
L’aggiornamento delle informazioni e il coordinamento della rete sarà a cura di un Assessorato “Sviluppo e rinnovamento dei Villaggi Comunali”, appositamente costituito dal Comune.
La riqualificazione urbana può costare circa 50.000 €/borgo, l’istituzione di piccole strutture ricettive circa 50.000 €/borgo, l’applicativo e la promozione circa 100.000 €; per un totale di circa 4.100.000 €, equivalenti a circa 40 borghi per adesso. Fondi facilmente reperibili con bandi europei

 

Il quasi “beato” Gaudi e il Liberty siciliano

Forse non tutti sanno che per Gaudi è stato avviato nel 1992 un processo di beatificazione che potrebbe portarci ad avere un santo architetto.

La principale motivazione sta nel fatto che il genio catalano considerava la natura un’architettura divina e riteneva di poter fungere da intermediario architettonico fra Dio e gli uomini. Dalla natura traeva le forme architettoniche. “Ciò che è in natura è funzionale, e ciò che è funzionale è bello… vedete quell’albero? Lui è il mio maestro” diceva Gaudi a chi gli domandava da dove traeva le sue forme.

Ciò è palpabile in alcune sue opere che sembrano essere veri e propri atti di fede come la Sagrada Familia, o come la Cripta della Colonia Guell, dove ogni elemento decorativo ha un profondo simbolismo religioso, esempi di una fede fortissima radicata nel centro rurale dove Gaudì ha vissuto da bambino.

Così come il Modernismo in Spagna, il Jugendstil in Germania, l’Art Nouveau in Belgio e in Francia, anche il Liberty siciliano si ispirava, in chiave moderna, agli stili del passato, con particolare riguardo a quelli locali. Ecco che il Modernismo trae spunto dall’arte araba, dal Gotico catalano o dal Barocco spagnolo, così come accade in Sicilia per merito di Ernesto Basile e tanti altri.

In tutte le opere di Gaudì appaiono le sue radici locali, dai superbi paesaggi naturali catalani, alle architetture “Mudejar” aragonesi, a quelle gotico-catalane.

Soltanto il Barocco, sintetizzato in forma modernista da Gaudi, non appartiene prettamente alla cultura del levante spagnolo. Tuttavia è impossibile non vedere nella Sagrada Familia il tardo Barocco della Spagna unificata slanciatissimo in altezza, molto in uso nel 700 oltre che in Castiglia e in Andalusia, anche in Sudamerica e in Sicilia (Santa Veneranda a Mazara del Vallo).

Nella Sagrada Familia i pinnacoli e le guglie sono di chiara provenienza gotica. Le strutture si reggono da sole, non hanno bisogno di archi rampanti o contrafforti, e la costruzione procede per passi verticali, non orizzontali. Ogni torre si autosostiene.

Forte gusto islamico mostra El Capricho a Comillas (una delle poche opere realizzate fuori Barcellona da Gaudi), così come il Teatro Eden di Acireale, l’Hotel Excelsior di Taormina e tante altre case siciliane. L’accostamento dei colori nella casa asturiana è molto simile a quello della Villa Comunale di Taormina, originariamente parco dell’abitazione di Lady Florence Trevelyan. In quest’ultima l’accostamento di pietre e mattoni, nel suo aspetto neo-romanico, non può non ricordarci il Parco Guell dello stesso Gaudì.

Decisamente riferita all’arte islamica è anche Casa Vicens, decorata con muqarnas e archi mistilinei e la Finca Guell, così come il Chiosco Ribaudo e il Villino Favaloro a Palermo

Nella Cooperativa Mataronense le grandi arcate a diaframma sono un “revival” delle arcate dei dormitori cistercensi (Monastero di Poblet) e delle grandi sale gotico-catalane (Salone Cruyllas a Calatabiano e Salon del Tinell a Barcellona)

Nella Torre Bellesguard, Gaudi riprende invece i temi dell’architettura civile catalana in onore di Martino I, che nel 400 aveva la residenza in città. Lo stesso accade nelle bifore e le balaustre traforate di Villino Drago a Messina o nelle balaustre del Villino Greco a Milazzo e in quasi tutti gli elementi architettonici del bel palazzo di Piazza Unità d’Italia a Messina.

Ma come non accostare stilisticamente Villino Florio di Basile con El Capricho e Casa Vicens di Gaudi, nel loro aspetto turrito con arcatelle pensili.

Sia il genio catalano che Ernesto Basile, maggior esponente del Liberty siciliano, sperimentarono in forma moderna le architetture radicate nel territorio. Ambedue realizzarono le loro migliori opere, capisaldi del Modernismo in Spagna e del Liberty in Italia, grazie ai loro mecenati, da un lato Guell dall’altro Florio.

Michele Palamara

Teatri di Sicilia

Da sempre la Sicilia, grazie alla sua posizione geografica, al centro di interessi militari e commerciali, è stata nell’arco dei secoli luogo dove diverse culture, dalle greche alle arabe, dalle francesi alle spagnole, si sono unite dando vita a grandissime espressioni in campo artistico, spesso anche a sperimentazioni del tutto innovative per il tempo.

Così è avvenuto anche nel campo del teatro e dello spettacolo, con le tradizionali vastasate, di origini medievali, e con l’opera dei pupi, sostituiti più tardi da attori in carne e ossa, che con le loro compagnie spopolavano per tutti i teatri d’Italia.

Come tipologia architettonica il teatro in Sicilia fu importato dai greci: la “cavea” semicircolare ospitava gli spettatori; la pendenza seguiva l’andamento naturale del terreno su cui veniva realizzato. Nel teatro romano, invece, la pendenza veniva realizzata artificialmente con spesse mura perimetrali (Taormina e Catania).

L’anfiteatro, spesso confuso col teatro, è invece una struttura ellittica chiusa, costruita per ospitare altri tipi di eventi. La Sicilia è piena di teatri greci, greco-romani, romani e anfiteatri (Siracusa).

Ma dopo l’età classica niente più si sperimentò in architettura per questo utilizzo. La pausa medievale fu lunga, anche se a Palermo, ai tempi di Federico II, esisteva una grande corte all’interno del Palazzo Reale, perimetrata da loggiati, denominata Aula Regia o Sala Verde che svolgeva funzione di teatro; essa era, anche, denominata “Theatrum imperialis palacii”.

E’ col Rinascimento che si comincia a pensare a teatri stabili coperti. Il più antico è il Teatro Olimpico a Vicenza, di Andrea Palladio (580). Ma il primo in assoluto fu probabilmente il Teatro in Campidoglio a Roma (1513)

Da lì in poi è un susseguirsi di sperimentazioni che, influenzate dai “corral” spagnoli e dai “teatri elisabettiani”, porteranno a definire il cosiddetto “teatro all’italiana”.

In questo lungo lasso di tempo, nel 1551, a Messina, venivano svolte rappresentazioni teatrali, nella casa di Paolo La Rocca; Giuseppe La Farina ne descrive gli ambienti. A Catania esistevano dall’inizio del 600, tre teatri di cui non si conosce la struttura: teatro della Casa Comunale, Teatro dell’Università, Teatro dei Gesuiti. Ma esistevano anche tanti “teatri di sala” realizzati in palazzi nobiliari e castelli-palazzo (dal 1664 il Palazzo dei Principi di Valdina a Palermo, dal 1668 il Palazzo Rodinò e l’Accademia degli Agghiacciati a Palermo, dal 1700 il Castello di Ciminna, dal 1709 la Villa Valguarnera a Bagheria, dal 1724 il Teatro “La Munizione” inserito nel magazzino della munizione a Messina, dal 1726 i Magazzini di Palazzo Valguarnera a Palermo, dal 1740 il Palazzo Senatorio a Siracusa).

Mentre dapprima il teatro era finanziato e frequentato esclusivamente dai nobili, ad esclusione delle vastasate e dell’opera dei pupi, che si realizzavano anche in piazza, dall’inizio dell’800 nelle grandi città di mare l’interesse per il teatro si diffonde fra la società borghese.

Tipologicamente il teatro siciliano assume, quindi, le caratteristiche del “teatro all’italiana” e da architettura di un interno diventa un vero e proprio monumento definibile nel tessuto urbano.

Il “teatro all’italiana” si costruisce, quindi, per lo specifico utilizzo di teatro, come avveniva in età classica e in età rinascimentale. Spesso si trova nei punti nevralgici della città. Nella piazza principale accanto al municipio, a volte incorporato nello stesso, come nel Teatro Garibaldi di Enna, oppure accanto alla Chiesa, come il Teatro Comunale di Vittoria o come il Bellini a Palermo, contiguo alla Martorana.

Luogo di culto, ma anche di semplice incontro, il teatro diventa un obiettivo prioritario per quasi tutte le amministrazioni. Nel 1868 si contano in Sicilia più di 80 teatri.

Nella prima metà del 800 la realizzazione dei teatri in Sicilia, quasi sempre in forme neoclassiche, perchè ben rappresentano l’edificio pubblico, è spinta da un sentimento liberale.

Messina, grazie al suo porto, ha vissuto secoli di altissimo splendore economico, urbanistico ed architettonico, godendo di grandi privilegi da parte dei dominatori. Ai primi dell’800 si è appena realizzata la nuova Palazzata ad opera del Minutoli sullo stesso luogo di quella seicentesca del Gullì. La città comincia a rivivere, e la sua esigenza di competere con gli altri grandi porti europei si manifesta nel voler costruire un nuovo teatro. Progettista è l’arch. Valente, napoletano, il quale, sia pur sacrificando l’ampiezza della sala, dota il teatro di una varietà di ambienti come, il caffè, il biliardo, sale per giochi e per feste, a dimostrazione di come il teatro ottocentesco siciliano volesse essere non solo un luogo di cultura ma anche un ambiente di rappresentanza, un po’ alla maniera francese.

Malgrado il sacrificio della sala, il teatro messinese a quel tempo era il quinto in Italia per capienza. Nella sua sobria composizione architettonica rispondeva perfettamente al tipo canonico italiano.

Sulla fine dell’800 si ha una nuova specializzazione nel teatro delle grandi città siciliane. Ecco perché a Palermo sorgono il Teatro Massimo Vittorio Emanuele, teatro esclusivamente lirico, e il Politeama Garibaldi, teatro polivalente (dal greco polus=molto e theaomai=vedere).

Col Teatro Massimo, prima Giovan Battista Basile e poi il figlio Ernesto raggiungono il massimo della monumentalità, rompendo il rapporto con la scala urbana, quasi a simboleggiare in maniera esasperata la sacralità dell’evento lirico. Internamente prestano grandissima attenzione all’ottimizzazione dell’ottica e dell’acustica costruendo un ampissimo palcoscenico, al tempo il secondo in Europa.

Denunciando all’esterno con chiarezza la distribuzione degli spazi interni e con l’alto tamburo esplicitando l’edificio teatrale, i Basile approdano a una soluzione simbolica e funzionalista al tempo stesso.

Col Teatro Politeama Garibaldi, Giuseppe Damiani de Almeyda fornisce Palermo di un altro importante fulcro urbano. Il grande semi-cilindro composto da un doppio ordine di colonne pompeiane nasconde al suo interno una sala a ferro di cavallo. Ma oltre a due ordini di palchi l’architetto fa costruire una cavea di tipo palladiano, un primo passo verso il nuovo teatro contemporaneo.

Sia Ernesto Basile che Giuseppe Damiani de Almeyda vengono definiti da Enrico Calandra, nella sua “Breve storia dell’architettura in Sicilia”, i maggiori architetti italiani dell’800. Lo stesso Semper, presidente del concorso per il teatro Massimo e autore del Teatro dell’Opera di Bayreuth, ebbe a complimentarsi per il rifiorire dell’architettura siciliana.

All’inizio del 900 i teatri in Sicilia diventano 150. Oggi saranno una cinquantina quelli inutilizzati.

Michele Palamara