architetto e giornalista
Intervista a Michele Palamara, coordinatore del Congresso “L’influenza spagnola nell’architettura e nell’urbanistica siciliana”.
Intervista a Michele Palamara dai microfoni di Marco Polo Tv
La Sicilia entrò a far parte della Corona d’Aragona, e quindi sotto influenza catalana, nel 1282, con la guerra del Vespro; diventò poi una sorta di colonia della Spagna unita attorno al 1500; il tutto si concluse nel 1713 quando, con la pace di Utrecht, gli ultimi vicere spagnoli finirono di lasciare l’isola.
Ma la Sicilia e l’attuale Spagna risultavano coinvolte in una comune koinè culturale già dal tempo delle incursioni musulmane (700); pertanto, si può dire che questi rapporti siano durati quasi un millenio.
Ma la Sicilia ha preferito la Catalogna o la Spagna?
Gli angioini non erano mai stati amati dai siciliani, quindi l’avvento del governo aragonese-catalano nell’isola fu certamente il male minore anche se, per buona parte del trecento, ad esso si opposero molte famiglie nobili siciliane (Chiaramonte, Sclafani, Migliaccio), le quali formavano il partito “latino” che sponsorizzava un’architettura indigena (arabo-normanna, sveva) in contrapposizione alle forme provenienti dalla Catalogna.
Con l’inizio del 400, tuttavia, le barriere si aprivano decisamente al gotico catalano, e ovunque in Sicilia architetti e lapicidi si ispiravano a quel gotico orizzontale e fiammeggiante, piuttosto che a quello francese verticale, utilizzandolo per lo più nella costruzione di palazzi o case con patio e scala “descubierta” (palazzo Corvaja a Taormina).
Fra la fine del 400 e l’inizio del 500, invece, i rapporti con l’Italia si aprivano maggiormente. Il rinascimento era italiano e quindi trovava facile approdo in Sicilia, soprattutto a Messina (porta della Sicilia) e Palermo (capitale), per cui le arti provenienti dalla Spagna, ormai unificata (gotico isabellino e plateresco), attecchirono meno.
Anche dal punto di vista politico-sociale, i siciliani, e in particolare i messinesi, a un certo punto, cominciarono a mostrare insofferenza nei confronti degli spagnoli, prova ne è la rivoluzione antispagnola del 1674 che si concluse, come tutti sappiamo, con la soppressione e tutta una serie di punizioni per la nostra città.
Michele Palamara
Accanto al Monastero di San Placido Calonerò, poco prima di arrivare a Pezzolo, c’è una strana
struttura in cemento armato a forma di stella a tre punte che recentemente lo storico Luciano Alberghini Maltoni ha svelato essere “muro di ascolto”, un edificio utilizzato durante la seconda guerra mondiale per ascoltare gli aerei, una sorta di radar.
Lui stesso nel Dodecaneso, in Grecia, ne ha ristrutturato uno identico realizzato anch’esso dall’aeronautica italiana per l’84° Gruppo e la 147° Squadriglia, dal 1923 al 1943 di stanza a Leros con compiti di Ricognizione Marittima Lontana.
Il Dodecaneso fu, infatti, occupato dagli italiani nel 1912 in seguito agli eventi della guerra italo-turca in Libia e diventò “Possedimento italiano delle isole dell’Egeo” in seguito al trattato di Losanna del 1923.
L’isola di Leros, così come tutto il Dodecaneso, rimase italiana fino al 1947 e fu sede di un’importante e strategica base aeronavale.
Grazie alla presenza italiana l’isola fu, peraltro, protagonista di uno sviluppo architettonico razionalista di gran pregio.
Da questa struttura militare, ascoltato l’aereo veniva prontamente data comunicazione agli operatori dell’UNPA (Unione nazionale protezione antiaerea), l’organizzazione di protezione civile istituita il 31 agosto 1934, che verso la fine del conflitto, per lo stato di grave emergenza, era costretta a reclutare persone in età avanzata o in stato fisico non perfetto. Da qui l’appellativo del tutto messinese “babbi ill’unpa”.
Michele Palamara
Le fasi costruttive che hanno riguardato il Monastero di San Placido Calonerò sono sintetizzabili in 4 passaggi fondamentali: 1360 circa assegnazione del feudo ad Andrea Vinciguerra; 1376 donazione del feudo ai Benedettini; 1400 circa completamento della chiesa nell’area del chiostro nord; 1608 completamento dei due chiostri nelle forme rinascimentali attuali.
Ma forse non tutti sanno che i Benedettini prima di trasferirsi sull’altopiano dove oggi sorge il “Cuppari” si trovavano sulla collinetta di fronte, al di là del torrente Briga, nel cosiddetto Monastero di San Placido il Vecchio o “in Silvis, con bella chiesetta annessa.
L’antico edificio era raggiungibile, prima dell’alluvione del 2009, salendo da Briga Superiore; oggi lo è passando da Giampilieri.
Ma da dove passavano i Benedettini nei loro frequenti spostamenti da un Monastero all’altro?
Molti, in maniera probabilmente fantasiosa, hanno parlato addirittura di un passaggio sotterraneo attraverso gli scantinati sotto il chiostro nord, ma è molto più probabile che, passando per il belvedere a sud del Monastero, attraverso un semplice sentiero giù per un lieve pendio, si potesse giungere prima al Lebbrosario Femminile di Briga con chiesetta quattrocentesca annessa, tutt’oggi appartenente ai Benedettini, e poi sù per San Placido il Vecchio.
Michele Palamara
Visibilissima da lontano, alcuni romettesi la chiamano “la palla” per la forma della sua cupola, si trova sulla cima del colle Palostrago o Palostraco o Palostrico, parola proveniente dal greco “Paleo-Kastron” che significa antico accampamento.
L’edificio ha un aspetto decisamente militare nella sua forma volumetrica, nell’ampiezza delle mura e nelle ampie strombature delle poche finestre.
Il monte su cui sorge è stato nei secoli abitato e militarizzato. Prova ne sono i resti della necropoli greca e della torretta d’avvistamento, visibile tutt’oggi dalla strada provinciale e che dà il nome all’omonima frazione, oggi disabitata. Alla fine dell’800, peraltro, sul luogo c’era un distaccamento militare facente parte del fronte difensivo della dorsale dei Peloritani.
La prima costruzione della chiesa potrebbe farsi risalire al periodo di appartenenza della Sicilia all’impero bizantino. La teoria dell’utilizzo da parte dei bizantini del colle è corroborata anche dalle ricerche dell’archeologo Giacomo Scibona. La pianta ottagonale, simile alla vicina chiesa di Santa Maria dei Cerei e la rozza cupola emisferica poggiante, attraverso semplici pennacchi, su sobria cornice modanata avvalora ulteriormente questa ipotesi. La stessa pianta ottagonale la riscontriamo anche nella chiesa di san Pietro Deca a Torrenova (il “conventazzo”). Le stesse semplici cornici le riscontriamo nella “rosata” di Rodì Milici, così come nella diruta Chiesa della Madonna di Loreto a Pezzolo, nella quale troviamo anche le stesse finestre ad arco ribassato e con forte strombatura, che, da un lato, potrebbero far pensare anche a modifiche militari cinquecentesche.
La cupola, a prima vista più alta rispetto alle altre cupole bizantine, in realtà potrebbe essere frutto dell’abbassamento dei grossi muri perimetrali, forse per far spazio al timpano nell’ammodernamento della chiesa realizzato nel XVIII secolo, quando la tradizione vuole sia stata realizzata la chiesa in ringraziamento alla Madonna per un miracolo. La cupola bizantina cosiddetta “a mammella“, appare solitamente ribassata proprio perché incassata nelle mura perimetrali.
E’ certamente affermabile che l’edificio, in attesa di indagini archeologiche precise, sia frutto quindi di diverse stratificazioni.
Tali modifiche, fra cui la recente imbiancata generale, fanno somigliare la chiesetta a costruzioni militari rinascimentali, ma anche ai ben più recenti “bunker” della seconda guerra mondiale.
Per alcuni, infine, questo tipo di costruzione a pianta centrale sarebbe da far risalire alla costruzione funeraria di epoca araba chiamata “marabutto” o “qubba”.
Michele Palamara
Ricostruzione computerizzata dell’autore
Il borgo storico dello Zaera sorgeva in una zona che probabilmente fu sede del primo nucleo urbano di Messina, ancor prima della nascita di Cristo. Una zona, ricordiamo, abbondantemente irrigata dai torrenti: Zaera a sud-ovest; Santa Marta e Santa Cecilia a nord-est, e pertanto particolarmente adatta agli insediamenti. Nonché giacente su quel “Piano delle Moselle o Mosella”, storico perché lì, Roberto il Guiscardo sconfisse gli arabi nel 1061, dando inizio ad un floridissimo periodo per la Sicilia.
Il borgo si andò formando attraverso la costruzione di case a schiera di passo minimo, proprio dove l’antico dromos, proveniente da Taormina, prima di arrivare a Messina, si divideva in “due vie”: una entrava dritta nel cuore della città, l’altra le girava attorno. Esso venne lasciato fuori dalle mura fatte costruire da Carlo V, ed assunse il controllo dell’ingresso sud della città, nonchè un certo benessere economico legato proprio alla percorrenza Messina-Taormina. Ciò lo condusse anche ad un notevole sviluppo urbano, tanto da far contare, alla fine del XVI secolo, più di diecimila abitanti, ridotti di parecchie unità dopo il terremoto del 1783, che in parte lo rase al suolo.
L’abbattimento delle mura cinquecentesche ed in seguito la ricostruzione risorgimentale del 1853 segna la rifusione di questo e degli altri storici borghi messinesi all’interno della città. Un inglobamento già in progetto da parecchio tempo, da quando, nel 1671, il senato messinese aveva dato incarico all’ing. Antonio Maffei di costruire la cosiddetta Porta Zaera. Ma la persistenza di taluni limiti fisici, come le fiumare appunto, impedirono, però, una perfetta fusione tra le diverse realtà urbane.
Le Casette Avignone, nelle quali Padre Annibale Maria di Francia passò la maggior parte della sua vita, si trovavano proprio all’incrocio fra la ex Via del Dromo, attuale Via Porta Imperiale, e il torrente Santa Cecilia, nel piano dei cosiddetti “orti gemelli”. Proprio in quel punto dove secoli prima aveva avuto la sua origine il borgo.
Nel 1840, all’epoca della costruzione delle casette, la via Porta imperiale, che aveva inizio dalla Porta Zaera, si biforcava, quindi, in “due vie”: una, con lo stesso nome, si concludeva giusto con la porta fatta costruire in onore di Carlo V, detta appunto imperiale, più o meno nei pressi dell’attuale tribunale; l’altra prendeva il nome di via Cardines, e si concludeva alle spalle della Palazzata, passando per la Chiesa dei Catalani.
Ormai la via Santa Marta e la via Porta Imperiale, sino al torrente Zaera, erano già fiancheggiate da una lunga serie di case a schiera dallo stretto passo, quando le Casette Avignone andavano ad occupare quell’ultimo fazzoletto di terra ancora disponibile. Committente del progetto era il nobile Maggiore Antonio Avignone, dei Marchesi di S. Teodoro. Il quale le fece costruire per affittarle ai poveri che non avevano altro alloggio in città.
Esse comprendevano un’area approssimativamente di 40 x 40 metri con 4 file di casette a schiera posizionate a pettine perpendicolarmente alla Via del Valore, unico ingresso delle casette, a sua volta perpendicolare alla Via Porta Imperiale.
I vicoli erano pertanto tre, tutti a cul de sac, denominati A, B e C. Il vicolo A, entrando da Via del Valore, il più vicino a Via Porta Imperiale, si concludeva col preesistente Palazzo Alessi, che a sua volta si affacciava su via Aurelio Saffi. In tre di questi blocchi, le casette, secondo uno schizzo dello stesso Padre Annibale del 1878 e secondo i disegni più tardi del prof. Favaloro, si appoggiavano di schiena, mentre l’ultimo blocco era dotato di ingresso solo sul vicolo C.
Proprio quest’ultimo blocco, dopo la demolizione effettuata nel 1916, per dar spazio alla via Ghibellina, come previsto dal Piano Borzì, fu ricostruito dallo stesso Padre Annibale più all’interno, sino ad occupare quasi l’intero vicolo C, e sino a portare a poco meno di due metri la luce fra gli ultimi due blocchi. Tale opera, ma non per un fattore igienico, gli costò una causa civile lunghissima con gli eredi Avignone, poi vinta. In quell’occasione veniva anche realizzata in posizione baricentrica la “mensa del povero”. Il tutto, rispettando i vincoli imposti dal Piano Borzì, cioè i limiti del futuro isolato n. 97.
Tuttavia le stesse Casette Avignone, praticamente delle baracche, la storicità del quartiere Zaera, con le vecchie case ormai fatiscenti, e la presenza di istallazioni militari, avevano fatto si che già il precedente Piano Spadaro del 1869 non avesse avuto buon esito in questa fetta di tessuto urbano. D’altronde lo stesso accadde negli altri borghi storici, a dimostrazione di come le singole parti: borghi, centro e nuove espansioni, stentassero a relazionarsi in un unico organismo. La conseguenza fu che tutta l’area divenne via via sempre più degradata finchè non furono finalmente abbattute le stesse Casette Avignone e le altre baracche che affacciavano sulla Via Porta Imperiale, e finchè quest’ultima non assunse le caratteristiche di arteria principale cittadina.
Ciò si attuò a cominciare dal 1921, quando venne posta la prima pietra del nuovo Santuario, esattamente dove sorgeva la Chiesa Baracca, donata al quartiere da Papa Pio X nel 1910, e distrutta da un misterioso incendio nel 1919. Il Nuovo Santuario, dedicato a San Antonio, fu inaugurato nel 1926, e appena 5 anni dopo iniziarono le demolizioni delle baracche e contemporaneamente i lavori dell’Istituto Antoniano Maschile, alcuni metri indietro rispetto al vecchio limite del lotto, per dare maggiore respiro alla Via Porta Imperiale. Letterio Savoia e Gaetano Bonanno portarono a termine la costruzione nel 1937 nelle forme che noi tutti conosciamo.
Michele Palamara
L’antica via del Dromo che proveniva da sud, assumeva, nell’ultimo tratto prima di entrare in città e biforcarsi, la denominazione di Strada delle Camerelle. Era, per intenderci, quel tratto di via Porta Imperiale che và da Piazza del Popolo a Via Tommaso Cannizzaro.
E’ proprio in questa strada che ha inizio la storia del Convento dello Spirito Santo e della Chiesa annessa, al quale è fortemente legata anche la storia di Suor Nazarena Majone.
Nel 1291, ancora abbondantemente fuori dalle fortificazioni fatte erigere dai normanni, in una zona particolarmente fertile fra i torrenti Santa Marta da un lato e Portalegni dall’altro, la sig.ra Francesca Boccapicciola, come afferma il rev. Padre Placido Samperi, fa erigere, in un terreno di sua proprietà, il monastero e la chiesa annessa dello Spirito Santo.
Alla sua costruzione partecipò economicamente anche Federico III d’Aragona, come fece per molti altri edifici religiosi in città. E, poiché ancor prima in quei luoghi vi era una fattoria dell’Abbazia di Roccamatore, Suor Francesca, prima Badessa del Convento dello Spirito Santo, volle che il monastero agisse sotto le regole dell’Ordine Cistercense e dipendesse proprio dall’Abbazia di Tremestieri. Le volte a crociera senza costoloni, i grossi pilastri rettangolari e gli altrettanto grossi archi a tutto sesto, forse un chiostro ma forse no, affiorati nel 1998 durante i lavori di rifacimento di alcune tubazioni, fanno parte di quell’ala più antica del monastero e sono un segno preciso di quell’architettura cistercense introdotta in età normanna dai francesi e di cui l’Abbazia di Roccamatore ne era il primo esempio in Sicilia.
Come avvenne per altre zone esterne alla città medievale, l’area su cui sorse il monastero pian piano si andò sviluppando, sino a formare un borgo e sino ad inglobare lo stesso monastero. Ecco che sorse il Borgo dello Spirito Santo, uno dei tanti borghi extraurbani che soltanto nel 1852 verrà incluso nel muro daziario della città.
Non si sa molto della Chiesa e del Monastero dello Spirito Santo sino agli ultimi anni del XIX secolo. La chiesa, intorno alla seconda metà del 600, cominciò ad assumere i connotati del barocco importato da Roma ma carico di stucchi e marmi policromi alla maniera siciliana. Il monastero, invece, perse la sua funzione di luogo di culto e assunse, pertanto, un aspetto sempre più degradato.
Eravamo proprio sullo scorcio del XIX secolo quando veniva dato ordine a Padre Annibale Maria di Francia di abbandonare il Palazzo Brunaccini, in via Cavour, lì vicino. Palazzo che il canonico messinese usava come ricovero delle orfanelle.
Per Padre Annibale si prospettavano nuovi problemi da risolvere, ma dopo tante insistenti richieste al Municipio, lo stesso otteneva finalmente l’uso del vicino monastero dello Spirito Santo e dava ordine a Suor Nazarena Majone di trasferirsi urgentemente con 12 orfanelle. La Suora ubbidiva, ma, dato lo stato di totale abbandono del monastero, si trovò costretta a raccogliere una squadra di operai e a dare urgentemente avvio ai lavori di ristrutturazione che in seguito avrebbero portato, fra alterne vicende, il vecchio Monastero a nuova linfa, trasformandolo oggi in uno dei più importanti luoghi di culto messinesi.
Maria Majone diventerà nel 1896 la Prima Superiora Generale della Congregazione del Divino Zelo.
Il terremoto del 1908 è un’altra dura prova per la grande forza di volontà di Padre Annibale e Suor Nazarena. Saranno necessari nove lunghi anni dal grande disastro affinchè i due riescano ad ottenere definitivamente l’area e ad avviare i restauri affidandone i lavori all’ing. Antonino Marino, poi passati a Pasquale Marino alla morte del canonico.
L’ing. Pasquale Marino ha lasciato una bella pubblicazione dove espone le problematiche progettuali e ce ne illustra le soluzioni. Nella sua relazione egli suppone che la disposizione planimetrica della chiesa barocca, danneggiata dal sisma del 1908, non si discostasse di molto da quella duecentesca, e le piante della città precedenti al 700 gli danno ragione. Successive dovevano, invece, essere le due cripte in cui venivano posizionate sedute le salme delle suore.
Il 29 giugno del 1938 l’arcivescovo Paino riapriva ufficialmente la Chiesa dello Spirito Santo, restaurata con l’ausilio della carità messinese. Il terremoto del 1908 aveva fatto cadere l’intera cupola e lasciato in piedi solo parte dei muri perimetrali, ma la sapiente opera di restauro dell’ing. Marino, coadiuvata da bravi stuccatori come Giuseppe Fiorino, hanno fatto sì che le linee barocche tardo secentesche originali e gli ambienti vissuti da Padre Annibale e Suor Nazarena venissero mantenuti.
Michele Palamara
Progetto di massima di “Recupero della memoria storica del Quartiere Americano” presentato nel luglio del 2012 al Consiglio della III Circoscrizione (co-progettista arch. Alessandra Malfitano, consulente storico dott. Basilio Maniaci) – Importo lavori circa 850.000 €
Quello che ancor oggi è conosciuto come “Quartiere americano” è il luogo dove, nella prima ricostruzione post-terremoto, si riversò la vita e tutte le attività principali dei messinesi. Il quartiere si trovava nell’area oggi compresa fra il Viale Europa a nord, via La Farina a est, Villa Dante a sud e viale San Martino ad ovest. Personaggi come Salvatore Quasimodo, Giorgio La Pira e Giovanni Rappazzo, inventore del cinema sonoro, e le famose stiliste Sorelle Mangano, vivevano o svolgevano lì la loro attività. Le maggiori scuole messinesi, la Caserma dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri, le maggiori chiese, la Questura, la Camera del Lavoro e la Corte D’Assise avevano sede fra le baracche di legno di questo quartiere. E fra le baracche del quartiere americano svolgevano la loro attività anche i più grandi artigiani del gelato e della pasticceria locale. Da qui l’esigenza di recuperare la memoria di questa parte di tessuto urbano oggi in completo abbandono. L’idea è quella di creare un percorso museale all’aperto lungo il viale San Martino, considerato da sempre il salotto cittadino, dove rivivere attraverso foto e disegni la storia del quartiere americano. Nonché di realizzare, al posto dei quattro assi viari che, a cul de sac, si immettono sul viale, quattro piazze tematiche che si ispirano alle attività svolte in prevalenza in questo luogo di grande cultura, ossia: la LETTERATURA (Salvatore Quasimodo), il CINEMA (Giovanni Rappazzo), la MODA (le sorelle Mangano) e l’ARTIGIANATO, con particolare riferimento alla gelateria. La prima piazza, a partire da nord, è la piazza dedicata alla MODA, perché proprio in quei luoghi aveva sede la Sartoria delle Sorelle Mangano, a quel tempo di gran voga. La seconda piazza è dedicata al CINEMA, perché esattamente lì c’era l’”Eden Cinema Concerto”, con facciata scenografica sul viale San Martino, dove Giovanni Rappazzo ebbe l’intuizione che lo portò a brevettare il primo cinema sonoro. La terza piazza è dedicata alla LETTERATURA, perché lì’ vicino, in via Croce Rossa, abitava il giovane Quasimodo, e proprio lì frequentava la scuola Jaci. La quarta piazza è dedicata all’ARTIGIANATO, in particolare alla gelateria artigianale, perchè una delle più fervide attività che si svolgevano nella zona sud del quartiere americano, dove il gelato veniva fatto con la “neve di Dinnammare” e dove un tempo esisteva l’AMERICAN COFFEE. L’intervento è tutto improntato sul disegno della pavimentazione in pietra locale. Il marciapiede lungo il viale San Martino, che ospiterà l’itinerario museale che, partendo da Viale Europa, si concluderà a Piazza Dante, sarà pavimentato con mattonelle quadrate poste secondo il disegno a scacchiera dell’originale quartiere americano. Il percorso sarà dotato di pannelli fotografici visibili sia dall’interno del percorso museale che dall’esterno, cioè da chi transita con l’auto o col tram. Il disegno della pavimentazione delle quattro piazze, invece, per contrastare la schematicità del marciapiede suddetto e delle stesse piazze di forma rettangolare, sarà volutamente bizzarro e animato con colori variopinti. In particolare, la prima piazza (MODA) è improntata su una passerella che, proseguendo in orizzontale, termina ad una certa altezza dal suolo, data la differenza di livello di circa 1,40 m esistente fra il Viale San Martino e la Via Giolitti. La seconda piazza (CINEMA) ripropone il cinema all’aperto esistente prima dell’incendio che distrusse l’originale quartiere americano. Il suo allestimento è fatto in maniera che la piazza possa essere utilizzata in maniera differente a seconda delle necessità. La terza piazza (LETTERATURA) è costituita da due padiglioni prefabbricati in cui sarà allestita una mostra e una biblioteca dedicata a Quasimodo e agli altri letterati messinesi. La quarta piazza (ARTIGIANATO) è composta, invece, da tre chioschi prefabbricati per gelati, dove sarà possibile apprezzare l’antica gelateria artigianale. In prossimità delle piazze verrà fatta proseguire la ringhiera, oggi sostituita da precari dissuasori in plastica, e verrà realizzata una pensilina frangisole. Un elemento verticale luminoso, visibile dalla strada, indicherà il nome della piazza. Alla sua base una postazione internet, una sorta di INFO-POINT fornirà notizie sulla storia del quartiere e sulla piazza corrispondente. Sia il CINEMA all’aperto, che i padiglioni della piazza LETTERATURA, che i padiglioni di GELATERIA ARTIGIANALE, così come l’ITINERARIO MUSEALE lungo il viale San Martino, così come i 4 alti INFO-POINT, in corrispondenza delle piazze, saranno una fonte di entrate economiche per l’amministrazione. L’intervento progettuale può essere autofinanziato con un PROJECT FINANCING.
L’intervento è stato presentato all’Amministrazione Comunale, in occasione del 100° anniversario del terremoto che ha colpito la città di Messina nel 1908.
Sul luogo dove nel 1599 fu realizzata la Loggia dei Mercanti, poi diventata Palazzo Senatorio, è prevista la realizzazione di una platea per assistere alle proiezioni che avvengono sulla facciata del catasto.
Concorso con procedura aperta di progettazione relativo a “Interventi di riqualificazione funzionale dell’area muro paraonde Molo Generale Malta e Banchina Cortese – Porto di Vibo Marina”. Gruppo: ing. Giuseppe Palamara; arch. Michele Palamara; ing. Antonello Codraro; arch. Demetrio Amadeo; ing. Ivan Palamara; ing. Ranieri Velini. (V classificato) – IMPORTO LAVORI CIRCA 1.000.000 €