Obiettivo del progetto “RETE DEI BORGHI” è il recupero e la promozione turistica del vasto patrimonio di villaggi messinesi.
Recupero da attuare, per cominciare, con piccoli interventi-pilota di riqualificazione urbana come, ad esempio, l’inserimento di una o più panchine “smart” dotate di lettore qr-code e info-point per fornire semplici e immediate informazioni turistiche, nonchè ricarica smartphone e wifi libera, insieme al rifacimento di porzioni di pavimentazione.
Promozione turistica che avviene attraverso sito web, brochure informative presso il terminal crocieristico o software installati sullo smartphone.
I turisti, ancor prima di intraprendere il viaggio, sapranno l’esatta ubicazione dei villaggi, i tempi e le modalità di percorrenza e le emergenze architettonico-paesaggistiche.
Sia che decidano di fare un tour “fai da te” che di farlo con autobus messi a disposizione dal Comune, i turisti potranno prendere in affitto occhialini per tour virtuali che sfruttano a pieno le potenzialità della realtà aumentata e delle tecnologie indossabili.
Il progetto si completa con la costituzione di piccole strutture ricettive, composte da 2 o 3 camere per borgo, collegate in rete.
L’aggiornamento delle informazioni e il coordinamento della rete sarà a cura di un Assessorato “Sviluppo e rinnovamento dei Villaggi Comunali”, appositamente costituito dal Comune.
La riqualificazione urbana può costare circa 50.000 €/borgo, l’istituzione di piccole strutture ricettive circa 50.000 €/borgo, l’applicativo e la promozione circa 100.000 €; per un totale di circa 4.100.000 €, equivalenti a circa 40 borghi per adesso. Fondi facilmente reperibili con bandi europei
Per il suo porto naturale , tra i mari Jonio e Tirreno, rifugio sicuro di navi e mercanzie, Messina trasse cospicui vantaggi economici e ottenne privilegi da parte dei dominatori.
Dall’età classica fino al terremoto del 1908, le attrezzature marittime della città richiamavano le navi per i rifornimenti e le riparazioni e per i ricchi negozi con i commercianti del luogo.
Già al tempo dei romani Messina ebbe il privilegio del titolo di Città principale dell’Impero.
Crebbe nei secoli la sua potenza, e al tempo dei normanni, per l’aiuto offerto loro nella riconquista dell’isola ebbe ancora ulteriori privilegi fra i quali quello di battere moneta e di avere un Consolato del Mare.
Messina, come pure la Calabria, eccelleva nella produzione della seta, la quale commerciava con altre merci provenienti dalla Spagna, da Genova, dalla Toscana, da Venezia.
Nel 1296, Federico III D’Aragona istituiva la fiera franca annuale, e nel 1416 Ferdinando D’Aragona ribadiva questo privilegio trasferendola sulla cortina del porto. In questa fiera , che si svolgeva tra l e il 15 Agosto, tutti i mercanti, compresi quelli spagnoli esponevano le loro merci (dal ferro alla seta, dal cuoio ai ricami in oro) dentro tende prefabbricate.
Nel 1507, la città, affollata di mercanti di tutte le parti del mondo, che contrattavano i prezzi delle merci in luoghi precari, quali il palazzo della Dogana, non certamente idoneo all’uopo, mandò in Spagna degli ambasciatori per chiedere a Ferdinando D’Aragona una sede fissa per questi incontri.
Ferdinando D’Aragona acconsentì che si iniziassero i lavori.
Si decise, allora, di costruire questa Loggia al posto di un tratto di muro di cinta della città, di fronte al mare, accanto alla turrita porta della Dogana Vecchia, chiamata così, proprio perché portava al quel Palazzo della Dogana, già luogo d’incontro preferito dai mercanti.
I lavori terminarono nel 1527.
Dopo aver portato a termine l’edificio ad un solo piano, si intuì che quel palazzo per la sua centralità poteva essere sede anche di altre istituzioni o enti. Per cui, nel 1589 viene deciso un ampliamento notevole del fabbricato con una sopraelevazione in cui avrebbero dovuto avere sede la Tavola Pecuniara e il Senato (Municipio), peraltro secondo la tipologia delle logge spagnole col “ayuntamiento” al piano superiore.
Alcañiz
I lavori venivano, così, affidati a Giacomo Del Duca, un architetto di Cefalù.
Del Duca era allievo di Michelangelo. Con lui, a Roma, costruì Porta Pia e realizzò altri splendidi edifici.
Tornato a Messina nel 1589, dopo aver portato a termine la Cupola di Santa Maria del Loreto, divenne Ingegnere della città al posto di Calamech, morto un anno prima.
Nel 1599 i lavori della Loggia dei Mercanti vengono portati a termine.
All’ingresso una grande lapide recitava: “UT MERCATORUM UTILITATI CIVIUM ORNAMENTO REGIAE URBIS MESSANAE REGNI PROTOMETROPOLIS DIGNITATI CONSULERETUR……..” (Buonfiglio Costanzo G., Messina città nobilissima descritta in XIII libri, Venezia 1606). Ossia il palazzo veniva costruito “AFFINCHE’ SI PROVVEDESSE ALL’UTILITA’ DEI CITTADINI MERCANTI…….”.
L’edificio, rivestito interamente di marmi pregiati, presentava, al piano terra, dove si riunivano i mercanti, nove lunghe finestre con cancelli di ferro, spaziate lateralmente da coppie di lesene doriche bugnate, e nove balconi, tra altrettante coppie di lesene d’ordine jonico, corrispondenti nel piano superiore. Sia le finestre che i balconi erano sormontati da piccole nicchie centinate con finestrelle, affiancate queste da volute a ricciolo. Una cornice a più scanalature marcava orizzontalmente i due ordini.
Questo schema ricordava l’interno della Chiesa di S. Maria in trivio dello stesso Del Duca.
Praticamente questa tipologia, è prettamente quella delle grandi logge mercantili appartenenti alla Corona d’Aragona (Perpignan, Palma, Saragoza, Valencia), ma con uno stile importato dall’Italia.
Messina
Perpignan
Non è da escludere che, nel suo involucro esterno realizzato sulla fine del secolo XVIII, la Lonja di Barcelona non abbia avuto come esempio l’importantissima loggia messinese, certamente non inferiore alle altre coeve “lonjas” spagnole, se non altro per dimensioni.
Barcelona
Nel 1602 si costruì una nuova sede per il Senato in Piazza Duomo, su progetto del Calamech, morto pochi anni prima. Per cui l’edificio sulla marina venne destinato esclusivamente ai Mercanti, al consolato del Mare, al Consolato della Seta e più tardi anche ad Archivio Notarile.
E’ da sottolineare, comunque, il fatto che il nuovo palazzo del Senato in piazza Duomo, secondo lo storico Buonfiglio, è solo parzialmente terminato in quella data, e probabilmente ad opera dello stesso Del Duca.
Nel 1622, la Loggia dei Mercanti veniva inglobata e dotata di tutti i servizi connessi alle attività mercantili, comprese le abitazioni dei mercanti, da quella enorme schiera di palazzi, chiamata “Palazzata”, famosa in tutto il mondo, anche come “teatro di Palazzi” per la bellezza del suo insieme e per lo spettacolo che offriva ai naviganti che entravano nel porto di Messina. L’incarico fu dato a Simone Gullì, il quale in soli due anni la portò a termine.
La costruzione, addirittura un chilometro e mezzo, venne ordinata da Emanuele Filiberto di Savoja, principalmente per dare dimora a quei mercanti, provenienti in massima parte dalla Spagna, che affollavano in quel periodo Messina e i quali necessitavano di dimore vicino al porto per attendere meglio ai loro commerci.
Tuttavia la città era già abbastanza ristretta fra le proprie mura e non aveva zone da destinare a nuove edificazione.
Si decise, pertanto, di abbattere le vecchie mura, sull’orma delle coeve città spagnole e portoghesi, e di costruirvi la Palazzata al loro posto, riutilizzando, peraltro, le stesse pietre, in mancanza di cave nelle vicinanze.
Inoltre, la Palazzata avrebbe difeso la città dai venti e dal contatto immediato con la tumultuosa e malsana zona di traffico marittimo e mercantile.
Al piano terra vi erano i magazzini e le botteghe. Ai piani superiori le abitazioni di mercanti, banchieri e famiglie benestanti
Al centro rimaneva, così, la Loggia dei Mercanti, nella propria maestosità.
A sinistra della Loggia dei Mercanti c’era la Porta della Loggia, forse dello stesso Del Duca, con la statua del Nettuno del Montorsoli di fronte.
Dalla porta della Loggia si impartiva l’attuale via della Loggia dei Mercanti.
La costruzione così rapida dell’intera Palazzata fu dovuta alla genialità dell’ arch. Gullì il quale seppe standardizzare alcuni elementi architettonici, come i balconi in pietra di Siracusa, le porte, le finestre, i fregi, le paraste, le soglie, predisponendoli a piè d’opera, durante la realizzazione dei muri portanti.
In un simile arco di tempo occorso per la costruzione si suppone che gli interni non dovevano essere per niente complicati.
Il piano superiore della Loggia dei Mercanti veniva in seguito adibito ad Armeria. I molteplici usi del palazzo fecero si che lo spazio per i mercanti diventasse insufficiente, per cui si costruì, nel 1627, un’altra Loggia al di là della Porta della Loggia.
L’edificio altrettanto bello, sede anche della Corte del Consolato dell’Arte della Seta, per metà era coperto da volte sostenute da grosse colonne di pietra e per l’altra metà era scoperto.
Questa loggia era tutta attorniata da un bellissimo e spazioso sedile di marmo con lunga fila di balaustri di ferro, ed in ognuno degli angoli c’era una bellissima colonna di porfido.
Nel suo insieme doveva assomigliare alla Loggia dei Catalani di Palermo, tranne per il fatto che parte di essa era allo scoperto.
Nel frattempo la città, dopo aver conquistato in un primo tempo la fiducia degli spagnoli, ed acquisito di conseguenza notevoli altri privilegi, nel 1674 si rivoltò contro, ottenendo in un primo tempo l’aiuto dei francesi e poi il loro tradimento. Questo episodio scatenò la vendetta di Madrid, la quale gli tolse pian piano tutti i privilegi che in precedenza gli aveva concesso.
Il Palazzo Senatorio di piazza Duomo veniva abbattuto, e al suo posto fatta erigere una statua di Carlo II.
Fu così che la Loggia dei Mercanti cedeva il suo sito al Senato, trasferendosi unicamente e definitivamente nella loggia anzidetta.
D’altronde il commercio non era più così fervido, come alcuni anni prima, e la piccola sede vicina era più che sufficiente.
Il terremoto tremendo del 1783 diede un ulteriore colpo all’economia cittadina distruggendo la Palazzata e danneggiando gravemente la Loggia dei Mercanti, ormai conosciuta ai più come Palazzo Senatorio.
La Palazzata fu interamente ricostruita ad opera di Giacomo Minutoli nel 1878, e fu nuovamente distrutta, e mai più ricostruita, dal terribile terremoto, che rase al suolo Messina, del 1908.
Le fasi costruttive che hanno riguardato il Monastero di San Placido Calonerò sono sintetizzabili in 4 passaggi fondamentali: 1360 circa assegnazione del feudo ad Andrea Vinciguerra; 1376 donazione del feudo ai Benedettini; 1400 circa completamento della chiesa nell’area del chiostro nord; 1608 completamento dei due chiostri nelle forme rinascimentali attuali.
Ma forse non tutti sanno che i Benedettini prima di trasferirsi sull’altopiano dove oggi sorge il “Cuppari” si trovavano sulla collinetta di fronte, al di là del torrente Briga, nel cosiddetto Monastero di San Placido il Vecchio o “in Silvis, con bella chiesetta annessa.
L’antico edificio era raggiungibile, prima dell’alluvione del 2009, salendo da Briga Superiore; oggi lo è passando da Giampilieri.
Ma da dove passavano i Benedettini nei loro frequenti spostamenti da un Monastero all’altro?
Molti, in maniera probabilmente fantasiosa, hanno parlato addirittura di un passaggio sotterraneo attraverso gli scantinati sotto il chiostro nord, ma è molto più probabile che, passando per il belvedere a sud del Monastero, attraverso un semplice sentiero giù per un lieve pendio, si potesse giungere prima al Lebbrosario Femminile di Briga con chiesetta quattrocentesca annessa, tutt’oggi appartenente ai Benedettini, e poi sù per San Placido il Vecchio.
Il borgo storico dello Zaera sorgeva in una zona che probabilmente fu sede del primo nucleo urbano di Messina, ancor prima della nascita di Cristo. Una zona, ricordiamo, abbondantemente irrigata dai torrenti: Zaera a sud-ovest; Santa Marta e Santa Cecilia a nord-est, e pertanto particolarmente adatta agli insediamenti. Nonché giacente su quel “Piano delle Moselle o Mosella”, storico perché lì, Roberto il Guiscardo sconfisse gli arabi nel 1061, dando inizio ad un floridissimo periodo per la Sicilia.
Il borgo si andò formando attraverso la costruzione di case a schiera di passo minimo, proprio dove l’antico dromos, proveniente da Taormina, prima di arrivare a Messina, si divideva in “due vie”: una entrava dritta nel cuore della città, l’altra le girava attorno. Esso venne lasciato fuori dalle mura fatte costruire da Carlo V, ed assunse il controllo dell’ingresso sud della città, nonchè un certo benessere economico legato proprio alla percorrenza Messina-Taormina. Ciò lo condusse anche ad un notevole sviluppo urbano, tanto da far contare, alla fine del XVI secolo, più di diecimila abitanti, ridotti di parecchie unità dopo il terremoto del 1783, che in parte lo rase al suolo.
L’abbattimento delle mura cinquecentesche ed in seguito la ricostruzione risorgimentale del 1853 segna la rifusione di questo e degli altri storici borghi messinesi all’interno della città. Un inglobamento già in progetto da parecchio tempo, da quando, nel 1671, il senato messinese aveva dato incarico all’ing. Antonio Maffei di costruire la cosiddetta Porta Zaera. Ma la persistenza di taluni limiti fisici, come le fiumare appunto, impedirono, però, una perfetta fusione tra le diverse realtà urbane.
Le Casette Avignone, nelle quali Padre Annibale Maria di Francia passò la maggior parte della sua vita, si trovavano proprio all’incrocio fra la ex Via del Dromo, attuale Via Porta Imperiale, e il torrente Santa Cecilia, nel piano dei cosiddetti “orti gemelli”. Proprio in quel punto dove secoli prima aveva avuto la sua origine il borgo.
Nel 1840, all’epoca della costruzione delle casette, la via Porta imperiale, che aveva inizio dalla Porta Zaera, si biforcava, quindi, in “due vie”: una, con lo stesso nome, si concludeva giusto con la porta fatta costruire in onore di Carlo V, detta appunto imperiale, più o meno nei pressi dell’attuale tribunale; l’altra prendeva il nome di via Cardines, e si concludeva alle spalle della Palazzata, passando per la Chiesa dei Catalani.
Ormai la via Santa Marta e la via Porta Imperiale, sino al torrente Zaera, erano già fiancheggiate da una lunga serie di case a schiera dallo stretto passo, quando le Casette Avignone andavano ad occupare quell’ultimo fazzoletto di terra ancora disponibile. Committente del progetto era il nobile Maggiore Antonio Avignone, dei Marchesi di S. Teodoro. Il quale le fece costruire per affittarle ai poveri che non avevano altro alloggio in città.
Esse comprendevano un’area approssimativamente di 40 x 40 metri con 4 file di casette a schiera posizionate a pettine perpendicolarmente alla Via del Valore, unico ingresso delle casette, a sua volta perpendicolare alla Via Porta Imperiale.
I vicoli erano pertanto tre, tutti a cul de sac, denominati A, B e C. Il vicolo A, entrando da Via del Valore, il più vicino a Via Porta Imperiale, si concludeva col preesistente Palazzo Alessi, che a sua volta si affacciava su via Aurelio Saffi. In tre di questi blocchi, le casette, secondo uno schizzo dello stesso Padre Annibale del 1878 e secondo i disegni più tardi del prof. Favaloro, si appoggiavano di schiena, mentre l’ultimo blocco era dotato di ingresso solo sul vicolo C.
Proprio quest’ultimo blocco, dopo la demolizione effettuata nel 1916, per dar spazio alla via Ghibellina, come previsto dal Piano Borzì, fu ricostruito dallo stesso Padre Annibale più all’interno, sino ad occupare quasi l’intero vicolo C, e sino a portare a poco meno di due metri la luce fra gli ultimi due blocchi. Tale opera, ma non per un fattore igienico, gli costò una causa civile lunghissima con gli eredi Avignone, poi vinta. In quell’occasione veniva anche realizzata in posizione baricentrica la “mensa del povero”. Il tutto, rispettando i vincoli imposti dal Piano Borzì, cioè i limiti del futuro isolato n. 97.
Tuttavia le stesse Casette Avignone, praticamente delle baracche, la storicità del quartiere Zaera, con le vecchie case ormai fatiscenti, e la presenza di istallazioni militari, avevano fatto si che già il precedente Piano Spadaro del 1869 non avesse avuto buon esito in questa fetta di tessuto urbano. D’altronde lo stesso accadde negli altri borghi storici, a dimostrazione di come le singole parti: borghi, centro e nuove espansioni, stentassero a relazionarsi in un unico organismo. La conseguenza fu che tutta l’area divenne via via sempre più degradata finchè non furono finalmente abbattute le stesse Casette Avignone e le altre baracche che affacciavano sulla Via Porta Imperiale, e finchè quest’ultima non assunse le caratteristiche di arteria principale cittadina.
Ciò si attuò a cominciare dal 1921, quando venne posta la prima pietra del nuovo Santuario, esattamente dove sorgeva la Chiesa Baracca, donata al quartiere da Papa Pio X nel 1910, e distrutta da un misterioso incendio nel 1919. Il Nuovo Santuario, dedicato a San Antonio, fu inaugurato nel 1926, e appena 5 anni dopo iniziarono le demolizioni delle baracche e contemporaneamente i lavori dell’Istituto Antoniano Maschile, alcuni metri indietro rispetto al vecchio limite del lotto, per dare maggiore respiro alla Via Porta Imperiale. Letterio Savoia e Gaetano Bonanno portarono a termine la costruzione nel 1937 nelle forme che noi tutti conosciamo.